lunedì 13 ottobre 2014

Arthur Hoyle

In una delle appendici della sua documentatissima biografia, Arthur Hoyle elenca un bel numero di università americane a cui ha scritto per capire se Henry Miller è ancora consigliato, letto, studiato, adottato. Le risposte sono state limitate, come se l’ostracismo nei suoi confronti si fosse soltanto evoluto in una forma di indifferenza, più subdola ed elaborata, perché non consente il ricorso alla corte suprema. L’unico a tentare un’analisi e insieme un riconoscimento è stato Tobias Wolff: “Miller ha avuto in un influsso così grande che è quasi impensabile che i suoi libri non vengano insegnati, ma la realtà è che purtroppo credo sia così, almeno per quanto ne so qui a Stanford. Forse non è poi una cosa tanto negativa: scoprire Miller è scoprirsi in preda alla disubbidienza, alla sovversione, alla franchezza sfacciata e irrispettosa e alla comicità rivoluzionaria. E’ possibile coltivare questi sentimenti con il beneplacito delle sobrie autorità istituzionali? Non sarebbe una specie di antisovversione? E’ solo un’idea”. I motivi dell’esclusione li raduna lo stesso Arthur Hoyle e sono già una parte pesante della sua storia: “Miller criticò con veemenza l’America e ne ridicolizzò i costumi sessuali, ma lo fece dalla posizione di un uomo profondamente innamorato dell’idea di America, il quale sentiva che tale idea, incarnata in Whitman, fosse stata tradita dagli imperanti interessi politici ed economici. L’America ha reagito sulla difensiva e continua a farlo; se non ti piace il messaggio, distruggi il messaggero”. Il suo ritratto è molto efficace proprio perché ripropone legami e intersezioni letterarie dell’epoca attraversata da Henry Miller, dalle sue fortune critiche ai viaggi, non esclusi tutti gli aspetti polemici, sia nel contesto europeo, ovvero parigino, sia in quello americano, con particolare riguardo alla vita di Big Sur. La ricchezza e la varietà dei dettagli, i continui richiami alla voce di Henry Miller, l’attenzione alla scrittura, allo stile e, molto meno (vale a dire lo stretto necessario), agli aspetti personali e alle sfumature più pruriginose, rendono la biografia scorrevole e coerente con la realtà della sua esistenza, compressa nell’idea che “l’arte di vivere implica un atto di creazione”. I matrimoni, le difficoltà economiche, la lunga battaglia contro la censura (“Ho la sensazione che nulla verrebbe considerato osceno se gli uomini vivessero fino in fondo i loro desideri più segreti”), la sua natura graffiante (“Che paese meraviglioso l’America. Ti fotte a ogni passo”) e la ricostruzione di Arthur Hoyle combaciano con l’intimo dettato di Henry Miller: “L’intera mia vita si spiega e allunga in una mattina non rotta né infranta. Scrivo dal nulla ogni giorno. Ogni giorno un mondo nuovo è creato, nuovo e separato e completo, e lì sono io, tra le costellazioni, dio così pazzo di sé da non far nulla se non cantare e plasmare nuovi mondi”. Una biografia adatta per conoscerlo e per conoscerlo meglio, per leggerlo e per rileggerlo perché, come diceva Lawrence Durrell, “quello che ci offre è una conquista indiretta, trovare noi stessi tra le sue pagine”.

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