giovedì 3 gennaio 2013

James Sallis

Le Vite difficili indagate da James Sallis, narratore con una spiccata propensione per la musica e i profili dei territori americani, e altrettanto efficace biografo e saggista, sono uno con cui lo scrittore scavalca il tema esplicito, arrivando a scoprire, in fondo, che “Più di ogni altra cosa, forse, l’argomento di questo mio libro è stato l’insuccesso. Ma mi accorgo di aver finito per scrivere anche di come le nostre vite di lettori, e soprattutto di scrittori, abbiano un’imperfetta redenzione attraverso la letteratura. E di aver parlato di un genio tutto americano per l’astuzia, l’eccentricità e la perversità, per riuscire a portare in fondo le cose a dispetto di noi stessi. Come specie, come nazione, come individui vediamo le nostre forze sorgere spesso dalle nostre debolezze”. Una bella definizione e James Sallis non deve ripassare per presentare con la giusta temperatura gli identikit di Jim Thompson, David Goodis e Chester Himes, i tre scrittori che ha scelto per rappresentare “quella pietra angolare della letteratura americana” che è il romanzo poliziesco (o noir, o hard boiled o con ogni altra declinazione lo si voglia identificare). La chiarezza con cui James Sallis delinea l’esistenza delle tre Vite difficili gli permette di convocare attorno a loro uno spettro significativo di narratori, utile a scoprire “l’anima nera di una nazione”. En passant, l’elenco comprende James M. Cain, Horace McCoy, Ross MacDonald, Mickey Spillane, Cornell Woolrich, Dashiel Hammett, con cui comincia tutto e infine, va da sé, Raymond Chandler. Gli aspetti biografici si avvinghiano a quelli letterari e James Sallis è molto abile nell’evidenziare i tratti principali di ciascuno di loro, in modo breve, coinciso eppure esauriente. Già la scelta dovrebbe essere indicativa perché, pur con le dovute differenze, Jim Thompson, David Goodis e Chester Himes hanno scritto, rappresentato (e vissuto) mondi marginali e violenti, fallimentari e oscuri che sapevano far diventare, nella definizione dello stesso James Sallis “oggetti rari e meravigliosi: diamanti di seconda scelta, forse, ma pur sempre diamanti. Fatti per essere usati, e non ammirati, hanno i loro grossi difetti. Eppure, messi controluce riflettono le nuove prospettive di un mondo che credevamo di conoscere. E sanno penetrare a fondo oltre lo schermo dietro il quale la vita svolge il suo corso”. La distinzione non è relativa perché Vite difficili si apre con un illuminante (ed importante) squarcio sull’ascesa e sulla caduta dei paperback, quei romanzi “mondi portatili” che costituirono una parte fondamentale della cultura popolare che, come scriveva D.H. Lawrence altro non è “se non una caricatura della storia, capace di mettere in estremo rilievo i sentimenti e il modo di pensare di una nazione”. Per questo Vite difficili, oltre a leggersi come un romanzo e a introdurre tre grandi scrittori, è anche una testimonianza di rilievo per tutto un immaginario (rock’n’roll compreso) che prende forma dalle pagine nere di un’intera nazione. 

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