martedì 15 gennaio 2013

Nathanael West

E’ sempre vero che “tutti hanno una storia da raccontare” e la Signorina Cuorinfranti, pseudonimo dietro il quale si nasconde un giornalista la cui carriera è finita in un vicolo cieco, raccoglie interi cahiers de doléances di tutta la città. Siamo a New York, subito dopo il crollo finanziario ed economico del 1929, una crisi che si protrae come un’epoca a sé stante, dove tutti vivono in un limbo grigio e cupo. La Signorina Cuorinfranti, che ha “una fissa per l’umanità”, non si limita a leggere confessioni e suppliche e resoconti di vite in pezzi che arrivano sulla sua scrivania in forma di lettere. Non gli basta nemmeno rispondere nello spazio della sua rubrica e fatica sempre di più ad arginare lo strazio con le parole finché “aizzato dalla sua coscienza, cominciò a generalizzare: gli uomini hanno sempre combattuto contro la loro misera condizione ricorrendo ai sogni. Anche se un tempo i sogni erano stati molto potenti, oggigiorno il cinema, i giornali e la radio li rendevano puerili. Tra i tanti tradimenti, questo era senz’altro il peggiore”. E’ allora che la Signorina Cuorinfranti decide di togliersi la maschera e di scoprire i volti, le vite che si nascondo dietro le storie che riceve ogni giorno. La linea di confine viene varcata in vari speakeasy dove bevono whisky (parecchio) e quando si incontrano per caso, per sbaglio o quando si danno un appuntamento è per confrontarsi (diciamo così) su livelli dove non è escluso nulla, dal sesso alla fede fino alla violenza. Il romanzo, spaccato in più episodi, in cui la Signorina Cuorinfranti è sempre protagonista è un’odissea negli inferi psicologici della solitudine non meno che in quelli della promiscuità, in cui la città (e nello specifico, New York) ha un ruolo determinante. Le condizioni storiche e metropolitane non sfuggono a Nathanael West dato che gli è ben chiaro che “gli americani avevano dissipitato la loro energia razziale in un’orgia di pietre spaccate. Nella loro breve esistenza avevano spaccato più pietre loro di quante ne avessero spaccate gli egiziani in tanti secoli. Per di più avevano compiuto questo lavoro con isterica disperazione, quasi si rendessero conto che quelle pietre un giorno li avrebbero spaccati a loro volta”. Il romanzo non è una lettura agevole, è pieno di spigoli e di angoli bui e lo slang di Nathanael West è grezzo e martellante perché pesca direttamente dalla disperazione di un’intera umanità imprigionata nelle proprie debolezze: Signorina Cuorinfranti, come il personaggio da cui prende il titolo, le riflette e come un medico trasportato più dall’emozione che dalla scienza alla fine si lascia contagiare, tanto che arriva ad ammettere che “aveva la sensazione che il suo cuore fosse una bomba, una bomba complicata che avrebbe finito per scoppiare in maniera molto semplice, devastando il mondo senza neanche farlo tremare”. E’ l’effetto primario di Signorina Cuorinfranti, che non concede alcun margine di trattativa ed è duro, aspro e bruciante, tutte doti che ne hanno fatto un classico.

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