venerdì 4 gennaio 2013

Charles T. Powers

C’è un villaggio polacco che è stato attraversato dalla storia e dove, anche se in pochi se ne sono accorti “c’è sempre stato qualcuno, c’è sempre stato un segno, un’orma lasciata nel dolce alternarsi delle stagioni, nelle generazioni di foglie cadute e marcite”. In quell’angolo freddo e sperduto i grandi cambiamenti umani e politici, le guerre, l’abominio del nazismo sono arrivati quasi come l’eco di una voce lontana, eppure provocano variazioni impercettibili, strani comportamenti, tradimenti, prove di forza perché “la nostra storia è come una forza alle nostre spalle, che ci incalza senza farsi riconoscere, ma che detta il modo in cui viviamo la nostra vita”. La piccola e ombrosa comunità viene scossa dalla scoperta del cadavere di un ragazzo, il primo passo di una spirale che per il protagonista de La memoria della foresta si sviluppa in modo esponenziale visto che “i fatti che sono successi qui, per piccoli che possano apparire, sono diventati per me, e forse per tutti noi, una lotta contro il passato e contro la profezia, contro la storia e contro il futuro”. A Jadowia, il tempo scandito dalle stagioni non è un’opinione è un campo magnetico a cui nulla può sfuggire e “così la storia non molla, e a volte torna indietro e ci assale all’improvviso”. Sembra che ogni singolo albero, carro o animale notturno possieda una propria memoria, tanto che Leszek Maleszewski arriva a dire: “Non sono sicuro di credere agli spiriti, ma credo senza dubbio in una sorta di coscienza, di consapevolezza, che in parte è immaginazione, estrapolazione, o forse un origliare dovuto all’intuizione”. Su questo tessuto umano, in apparenza inpenetrabile, bucolico e gonfio di vodka, in realtà ipersensibile e attentissimo, s’innesta un omicidio che è un buco della serratura attraverso il quale s’intravedono altri mondi, altre epoche intrise di ricordi ingombranti e lancinanti. “Un tempo nuovo ci incalza. Molti di noi devono fare del loro meglio per crederci, e molti non vogliono, molti non possono” dice Leszek Maleszewski e lui stesso prova a farlo con tutto quel poco che ha. Jadowia diventa una terra di nessuno tra due differenti e opposte necessità, quelle dell’oblìo e della memoria, che si confrontano schierando falangi di fantasmi. Emergono tra gli alberi, sui sentieri, dalla nebbia e più di tutto nelle parole che svelano e nascondono segreti avvolgendo, increspando e imprigionando le vite dei personaggi. E’ sufficiente una pagina di prologo e in un baleno si è avvolti dalla storia, che “per metà è tutta una bugia, mentre l’altra metà si regge sul tentativo di non ricordarne la parte peggiore”: la scrittura di Charles T. Powers (che è stato inviato del Los Angeles Times a Varsavia per più di vent’anni ed è scomparso nel 1996), è un flusso inarrestabile che si dipana senza esplosioni o fragrori, ma con una certosina attenzione al tono e all’atmosfera e un  ritmo costante, metodico e a lungo andare ipnotico, che rende speciale La memoria della foresta un romanzo unico e singolare. 

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