mercoledì 9 gennaio 2013

Joseph Mitchell

Joe Gould è l’archetipo del bohémien inconcludente, sempre affetto dalle tre S (stomaco vuoto, sbornie e senzatetto) e da un sogno troppo grande e/o altrettanto confuso. Quello che Joe Gould insegue nelle backstreets del Village è “una storia orale del nostro tempo”, un’opera  destinata a essere lunga come undici Bibbie. Cominciata sei anni prima e mai finita è lo scopo supremo della sua vita e l’idea, come poi avrebbe confermato tra gli altri anche un intellettuale lucidissimo come Howard Zinn, ha un suo peso specifico perché “ciò che la gente dice è storia. Quello che un tempo pensavamo fosse storia, re e regine, trattati, invenzioni, grandi battaglie, decapitazioni, Cesare, Napoleone, Ponzio Pilato, Colombo, William Jennings Bryan, è solo storia ufficiale, in gran parte falsa. Io scriverò la storia alla buona delle moltitudini in maniche di camicia, quello che hanno da dire sul lavoro, sull’amore, sul vitto, sui bagordi, sui guai, sugli affanni, oppure perirò nello sforzo”. Per restare incollato alla sua utopia, Joe Gould vive “l’arte del fai a meno”, evita in modo accurato un lavoro decente o regolare che gli impedirebbe di pensare e rimane tutto il santo giorno in ascolto di “conversazioni prolisse e conversazioni brevi e vivaci, conversazioni brillanti e conversazioni sciocche, bestemmie, slogan, commenti grossolani, frammenti di litigi, borbottii di ubriachi e mentecatti, implorazioni di mendicanti e barboni, proposte di prostitute, imbonimenti di bancarellisti e venditori ambulanti, sermoni di predicatori di strada, urla nella notte, dicerie incontrollate, grida accorate”. La presenza stessa di Joe Gould diventa una parte di New York, in particolare nel Greenwich Village, ed è l’apologia dei bassifondi, di uno spirito libero e iconoclasta e insieme di tutto un universo di outsider, compresi “gli eccentrici, gli spostati, i tubercolotici, i falliti, le promesse mancate, le eterne nullità”, lui stesso in testa al variopinto corteo e poi “gli altri si sono persi per strada. Qualcuno è nella tomba, qualcuno in manicomio, e qualcuno nel mondo della pubblicità”. Se va a caccia di ketchup, di mozziconi di sigaretta, di frasi colte al volo e del momento giusto, quando tutto va a rotoli, per scriverle per sempre. E’ quello che ha fatto per lui Joseph Mitchell con una visuale sempre ravvicinata e misurata eppure coinvolgente: “Se proprio doveva recitare la parte dell’idiota, l’avrebbe fatto su una scena più grande, davanti a un pubblico più congeniale. Era venuto al Greenwich Village e si era trovato una maschera, l’aveva indossata e non se l’era più tolta”. In effetti,  vivendo sulla strada, open air, Joe Gould di segreti non ne ha molti, ed è una figura pubblica nel migliore dei sensi, cioè che appartiene a tutti, proprio come dovrebbe tutti dovrebbero percepire l’indiscutibile necessità di proteggere almeno l’idea, l’eventualità di una vita o anche di una porzione di vita con un minimo margine di eccentricità, fosse soltanto una fugace deviazione o una piccola, salutare fuga dalla realtà.

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