giovedì 15 ottobre 2020

Stuart Dybek

Per spiegare il senso per le minuzie nel suo lavoro, una volta Edward Hopper ha citato queste parole di Ralph Waldo Emerson: “In ogni opera di genio riconosciamo i nostri pensieri rimossi, che ci ritornano in mente con una certa straniata maestosità. I capolavori dell’arte non potrebbero darci una lezione più emozionante. Ci insegnano a dar retta alle nostre impressioni spontanee con tranquilla fermezza, soprattutto quando dall’esterno ci giunge il frastuono di tante voci diverse. Altrimenti domani uno straniero ci dirà lui, con smaliziato buon senso, quello che abbiamo sempre pensato e sentito, e noi saremo costretti per nostra vergogna ad adottare le opinioni di un altro”. È un passaggio che si adatta alla perfezione a Stuart Dybek, uno scrittore immaginifico capace di rendere l’atmosfera fluttuante dei sogni (a occhi chiusi e aperti), del cinema, della vita notturna, delle sottili distanze tra gli amanti e dell’inafferrabile essenza della musica. La costa di Chicago colleziona racconti brevissimi, come Luci, una pagina perfetta, Tappi di bottiglia, una piccola storia con una delicatezza che riporta allo sguardo dell’infanzia, o Scene tagliate con tutta la magia di un film condensata in una short story. Sa infilare le parole nel posto giusto e, in Chopin d’inverno, spiega che “quando la musica alla fine è sparita, quei canali sono rimasti, distribuendo il silenzio. Non il solito silenzio di assenza e di vuoto, ma un silenzio puro oltre l’immaginazione e la memoria, intenso come la musica che aveva sostituito, e che, come la musica, aveva il potere di cambiare chi lo ascoltava”. Succede anche “in quegli anni tra la Corea e il Vietnam, quando si è perfezionato il rock’n’roll” e allora la gang di Degrado si divide tra Little Richard, Fats Domino, Screamin’ Jay Hawkins, Howlin’ Wolf, Jerry Lee Lewis, Ray Charles, Buddy Holly e gente che “passava un sacco di tempo ad ascoltare i vecchi 78 giri di cantanti neri i cui nomi sembravano cominciare tutti per Blind o Sonny”, e del resto siamo a Chicago, dove il blues ha trovato una casa con la corrente elettrica. I racconti sono inanellati l’uno all’altro e così lungo La costa di Chicago si incontrano i personaggi di  Bijou, Randagi, Persa, La donna che sveniva, Latte condensato, ma sono Degrado, Ghiaccio caldo e I nottambuli a comporre un trittico fondamentale. In Ghiaccio caldo tutto si snoda attorno a La Bamba, un riff che ha fornito il DNA all’intero universo del pop, da Twist And Shout a Like A Rolling Stone, e tanto dovrebbe bastare. Con I nottambuli, è come se nell’omonimo quadro di Edward Hopper prendesse posto una piccola folla, e così “il locale illuminava quell’angolo buio di città con una luce spoglia che non sembrava nemmeno capace di illuminare se stessa. Tre clienti stavano seduti al bancone come se attendessero, non che qualcosa cominciasse, ma che finisse, e io sapevo con quanto poco sforzo avrei potuto aprire gli occhi e trovarmi lì con loro ad aspettare”. Tra di loro si distingue un suonatore di conga che fa un po’ da anfitrione, una figura che si dispone in evidenza, in modi diversi e a più riprese, quasi a richiamare l’attenzione. Mentre “un bacio attraversa la città” e April In Paris di Count Basie risuona ancora una volta, lui e lei a sono a letto e lei “capisce cosa vuole dire. Vuole dire che stanno vedendo questo insospettabile cielo solo perché sono insieme; che è qualcosa in più da ricordare tra loro”. Una visione impressionista, luminosa con gli sguardi che si rimbalzano da una prospettiva all’altra, una sfumatura impercettibile colta da una scrittura elegantissima e sorniona, capace di  ricordare che “nonostante tutta la gente ancora sveglia, incapace di lasciar andare la sera, si affacci dalle finestre, fumi sugli scalini dei portoni d’ingresso o sulle verande anteriori, c’è silenzio, nessun convenevole, o pettegolezzo, nessuna storia o ninnananna, solo il ronzio degli insetti o le grida lancinanti degli uccelli, come se tutti sapessimo che adesso dovremmo essere addormentati, lasciando che siano i falchi della notte a descrivere la notte”. Nessun altro può farlo.

1 commento:

  1. Sono contento. Ho visto questa raccolta in libreria e l'ho presa senza sapere nulla dell'autore, contando sulla prima impressione di lettura di una pagina a caso. Vedo che non ho sbagliato. La leggerò presto.

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