mercoledì 7 giugno 2017

Robert Frank

Gli americani interpretati da Robert Frank sono inquadrati nel contesto di un paesaggio mutevole, che ha come sfondo principale la, “strada folle che spinge gli uomini ad andare avanti, la folle strada, solitaria, che ti fa uscire di testa e ti rivela squarci di spazio verso l’orizzonte”, e non potrebbe essere diversamente vista l’associazione, spontanea e naturale, con Jack Kerouac, la cui presenza vale molto più della breve introduzione. C’è lo stesso, appassionato lirismo nelle fotografie di Robert Frank, c’è lo stesso afflato ideale, verso “quella folle sensazione in America” più che verso una dimensione reale: Gli americani è un capitolo visivo di un'epopea intraprendente ed entusiasta, non è un classico libro di fotografia. Quelle di Robert Frank non sono riprese canoniche, ordinate e/o corrette, dal punto di vista geometrico, o dell’esposizione, o del taglio. Non hanno didascalie, indicazioni o istruzioni per l’uso. Sono il frutto di una visione non allineata, non omologata, non consolatoria, ed è per questo Gli americani venne pubblicato prima in Francia, con il titolo Les américains, perché ritenuto troppo scomodo. E' una collezione di ritratti immediati, dove il bianco e il nero garantiscono tutta la prospettiva minima e indispensabile. Le immagini pagano un debito di riconoscenza nei confronti di Walker Evans e hanno tutta una loro consistenza perché sono più “le parole del poeta”, come diceva Robert Frank. Un richiamo sensibile da cui Jack Kerouac non poteva esimersi di rispondere: “Chi non ama queste immagini, non ama la poesia, capito? Se non ami la poesia, va’ a casa e guarda la TV con i cowboy col cappello da cowboy e i poveri cavalli gentili che li sopportano. Robert Frank, svizzero, discreto, carino, con quella sua piccola macchina fotografica che tira su e fa scattare con una mano, ha estratto una poesia triste dal cuore dell’America e l’ha fissata sulla pellicola, così è entrato a fare parte della compagnia dei grandi poeti tragici del mondo. A Robert Frank adesso mando questo messaggio: tu sai vedere. E dico: quella ragazzina ascensorista tutta sola che guarda in su e sospira in un ascensore pieno di demoni confusi, come si chiama? Dove abita?”, e sono quelle le domande che valgono per tutti Gli americani. I ballerini e il cowboy a New York, i bianchi al ristorante e i neri al funerale, le croci e le stars and stripes (ovunque), i cartelli e le insegne, le attese, le partenze e gli arrivi, le folle e le solitudini, come se a Edward Hopper avessero dato una macchina fotografica e tolto i colori. Ha ragione Robert Frank quando diceche “il genio dell’artista consiste nel guardare il mondo che condivide con noi”, solo che la sorpresa nel rileggere Gli americani è il fascino di quello che rimane in sospeso, nascosto, misterioso, benzina per l’immaginazione, quell’atmosfera del jukebox all’idrogeno e dell’incubo ad aria condizionata che l’introduzione di Jack Kerouac suggeriva, lasciando spazio a intere praterie per l’interpretazione: “Non avevo mai pensato che fosse possibile fissare tutto questo sulla pellicola e ancora meno che le parole potessero descriverne la meravigliosa complessità”. Con Gli americani, sulla strada, succedono entrambe le cose.

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