giovedì 27 aprile 2017

Mike Davis

Sul border tra Messico e Stati Uniti si giocano molte partite, tutte distinte da un’ambiguità di fondo, perché “i capitali, come del resto l’inquinamento, possono fluttuare liberamente lungo i confini, la forza lavoro migrante si scontra invece con una criminalizzazione e una repressione assolutamente senza precedenti”. Non c’è muro che tenga: come sottolinea Mike Davis la “linea” e la “frontera” funzionano come una diga che regola l’afflusso di merci (legali e non) e mano d’opera a bassissimo costo. La condizione dei latinos è quella che ripropone le condizioni primordiali di ogni emigrazione: disorientamento, sfruttamento, emarginazione, proprio in quest’ordine perché “sono prima di tutto i dannati della terra, l’esercito invisibile di braccia e corpi che si consumano nella rete di maquiladoras sul lato sempre sbagliato del confine”. E’ soltanto l’inizio di un puzzle in evoluzione, complesso e disordinato, difficile da decifrare, che Mike Davis ha la capacità di rendere fluido, affrontando superficialità e apparenza con un’ostinata aderenza ai dati, ai riscontri e alle testimonianze. Il travaso di latinos aggiunge una nuova massiccia componente nel complicato equilibrio del continente americano, trattandosi di “un formidabile motore demografico: una popolazione ispanica che cresce a ritmi di un milione all’anno, dieci volte più veloce di quella anglo”. Le barriere sono inutili e la tropicalizzazione degli spazi urbani è un processo inevitabile perché essere latino è “non un’essenza, ma una storia”. La definizione di Octavio Paz aiuta a comprendere, meglio di ogni analisi antropologica, come “gli elementi complessi, spesso conflittuali, presenti nelle preesistenti forme identitarie dei migranti, che comprendono accanite fedeltà subnazionali di carattere regionale o locale, così come profonde divisioni ideologiche tra subculture essenzialmente religiose e altre secolarizzate e radicali, vengono strategicamente ricomposte, e di frequente amplificate, in etnicità manipolabili, che entrano a loro volta in competizione con le rivendicazioni e le pressioni di altri gruppi costruiti in modo analogo”. Il riflesso condizionato ai crescenti contrasti prodotti dall’arcobaleno dei latinos è “ricorrere/alludere a una forma culturale originaria e autentica è esattamente quanto fa chi tra i bianchi, e sono molti, si sente minacciato; chi dai tranquilli e dorati suburb di Los Angeles, piuttosto che di San Diego, vede e teme la presenza di illegal aliens come un’orda animale, coyote la cui semplice e invisibile esistenza ai margini costituisce elemento inesorabile di disturbo e paura”. In questo senso, Mike Davis ha un riguardo particolare alle tematiche linguistiche dall’imposizione (nemmeno tanto mascherata) dell’inglese all’ibrido dello spanglish che unisce tutti i latinos. Un paradosso che non sfugge a Mike Davis perché è un derivato dallo spagnolo, la lingua dei primi colonizzatori: “Tutta la riflessione postcoloniale si sviluppa intorno alla possibilità-necessità di pensare gli attuali equilibri (e squilibri) globali come effetti più o meno diretti dell’esperienza, sotto certi aspetti intrascendibile, del colonialismo. Rispetto a questa cesura storica, storicamente definita e conclusa ma ancora apertissima nelle conseguenze, ogni transizione si dimostra parziale, e sconta un campo segnato all’origine da dominazione, sfruttamento e soprattutto da confini, differenze e identità che sono prima di tutto riflessi imposti dall’occidente. Da una simile cartografia emerge una dimensione culturale necessariamente ibrida, in cui forme di vita ed ecologie locali vengono riattivate strategicamente come risposte alla dominazione, situandosi negli interstizi, nelle fratture e nelle disgiunture dell’ordine che, senza soluzione di continuità, salda l’esperienza coloniale a quella globale. In questo senso la realtà culturale postcoloniale riflette una più generale dimensione diasporica, una continua oscillazione tra forme di ripiegamento in politiche dell’identità locale, assolute e assolutiste, e forme di assimilazione altrettanto imposte”. Un’analisi puntuale, precisa e valida anche ad altre longitudini e latitudini.

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