sabato 15 aprile 2017

John Steinbeck

“Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che deve dire” scriveva Italo Calvino ed è una definizione che ben si adatta a La luna è tramontata di John Steinbeck. Pur non essendo mai dichiarato in modo esplicito, è facile dedurre che il breve romanzo è ambientato in un villaggio norvegese invaso dai paracadutisti tedeschi che, anche grazie alle trame di un collaborazionista, riescono a ottenere in breve tempo il controllo della zona. Il villaggio ha un valore strategico perché l’economia locale si regge sul carbone, che sarà requisito ai fini bellici e l’organigramma degli occupanti ripropone i caratteri umani e li drammatizza: c’è la figura tormentata del colonnello Lanser che cerca di non lasciarsi travolgere né dagli eventi né dalle emozioni indotte dall’occupazione e quella del maggiore Hunter, che deve disegnare e ridisegnare la ferrovia, che viene regolarmente sabotata. In effetti, se le operazioni militari sono state un successo, la vita quotidiana è angosciante per tutti. I soldati sono lontani da casa, soffrono la tensione che ribolle in tutto il villaggio e anche se il conflitto è limitato, contenuto, dopo un po’ l’impressione è, come si dice nelle strade, che le mosche abbiano conquistato la carta moschicida. John Steinbeck trova il modo di mantenere in fibrillazione ogni singolo personaggio e spicca la figura del sindaco Orden. In una sua prima riflessione, nel tentativo di limitare i danni e di mantenere le saldi i confini delle istituzioni, dice: “C’è un’idea in questo: se curi attentamente certe forme, raggiungi la sostanza, e spesso la gente si lascia conquistare dalle forme”. Da lì, sono protagonisti di una guerra fredda, silenziosa, non meno crudele perché sanno di dover convivere con qualcosa che è “tradimento e odio, pasticci di generali incompetenti, tortura, assassinio, disgusto, stanchezza, finché poi è finita e nulla è mutato, se non che c’è una nuova stanchezza, un nuovo odio”. Mentre la resistenza diventa sempre più ostile, i soldati scoprono con amarezza che erano pronti alla vittoria, ma non si sono mai preparati ad affrontare l’idea di una sconfitta. Il disorientamento è palpabile: tutte le ambiguità su cui si reggeva il fragile e irrealistico equilibrio iniziale, tramontano insieme alla luna, quando gli aerei alleati bombardano ogni singola luce e scaricano armi e rifornimenti per la resistenza. Nell’impossibilità di far fronte alla crescente ribellione, il colonnello Lanser, che all’inizio aveva confidato nella collaborazione del sindaco Orden, impone il suo arresto, preludio all’esecuzione. Nel drammatico atto conclusivo, i due diretti antagonisti, il soldato e il politico, vanno incontro ai rispettivi destini recitando i passi che ricordano dell’Apologia di Socrate, ma è proprio Orden a sigillare il messaggio finale: “I popoli non amano essere conquistati e per questo non lo saranno. Gli uomini liberi non possono scatenare una guerra, ma una volta che questa sia cominciata possono continuare a combattere nella sconfitta”. Scrivendo La luna è tramontata, John Steinbeck aveva compreso, già nel 1942, quello che tutti gli strateghi e gli storici avrebbero appreso negli anni a venire, e l’analisi che filtra attraverso le pagine del romanzo è chiara, precisa, perfetta. Profetico e, sì, un classico.

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