venerdì 6 maggio 2016

Don DeLillo

Un piccolo taccuino di appunti che annoda cinema, libri, fotografie, Thomas Bernhard e Thelonious Monk, un po’ improvvisato perché “si tratta di jazz, dopotutto”, si rivela un breve vademecum al senso di Don DeLillo per l’arte, a partire dal richiamo classico per cui “la radice greca della parola estasi contiene un’accezione di terrore, follia, spostamento”. L’essenza di Contrappunto si può concentrare per intero in questa frase, che coglie la natura di quello che è “l’artista nell’idiosincrasia e nell’isolamento”, senza differenze rilevanti tra Il soccombente di Thomas Bernhard (“Una prosa tanto inesorabile nel suo tendere verso un’idea fissa da raggiungere talvolta il livello di un delirio autodistruttivo”) o un combo di jazzisti in una vecchia fotografia in bianco e nero. E’ il tema che ritorna, mentre il senso del Contrappunto si srotola nelle divagazioni dell’osservazione, perché la sfida di Don DeLillo, anche in questo frammentario contesto, è nel ricordare che “il narratore consegna cronache esplicite di infelicità, malattia, follia, isolamento e morte. A tratti la narrazione accumula strati di disprezzo, anche di sé, talmente compressi da divenire, in un suo modo estenuante, comica. E intessuta nelle sue trame si annida una cupa sensazione di temi e motivi che ricorrono nella mente”. Contrappunto ci dice come funziona il mistero, che resta comunque tale e Don DeLillo si premura di precisarlo, “perché è questo che il genio fa. Annichilisce la volontà altrui. Ma può anche indurre in chi lo ammira un peculiare struggimento, un desiderio di fondersi con il suo ambiente”. Solo che le controindicazioni e gli effetti collaterali non sono elencati, non ci sono istruzioni per l’uso o codifiche universali e le variazioni su tema portano a una domanda inevitabile: “Ma cosa succede quando l’introspezione raggiunge un’intensità tale da annullare il mondo circostante?” Don DeLillo anche nello striminzito spazio di Contrappunto prova a rispondere, un sforzo non indifferente, e temerario, e sfarzoso nel suo (ben noto) eloquio, eppure ancora fallimentare perché conduce da un punto interrogativo a un altro: “Si parte dai gradi nei linguaggio, un senso di minaccia via via più profonda espressa tramite i termini stessi. Introspezione, solitudine, isolamento, ansia, fobia, depressione, allucinazione, schizofrenia. Poi si passa ai referenti umani. Egli è libero dalle convenzioni; oppure la sua umanità difetta di qualcosa; oppure: è intrappolato in un contesto moderno viziato da una forma di straniamento che lo fa sentire a disagio nel mondo; oppure: forse è un risultato della sua educazione; oppure: è uno stramaledetto genio, lasciatelo in pace; oppure: si tratta di una questione strettamente clinica, di chimica cerebrale; o ancora: in realtà è una condizione naturale, un terrore che sopravvive nel cervello antico, il cervello rettile, oltre i confini inclinati di tutto ciò che gli ha accatastato contro. Se conosciamo la risposta, allora la domanda è questa: quanto possiamo avvicinarci all’io senza perdere tutto?” Contrappunto non risponde, non è possibile: si limita a suggerire qualche peculiare motivo d’ispirazione, uno sguardo ancora curioso, una passione nel frugare in dettagli infinitesimali, anche se poi Don DeLillo non resiste alla tentazione di sfoderare un concentrato di analisi e ci ricorda che “il mondo è un insieme di assunti progettati per accogliere la propria introversione”. La definizione in sé può anche essere esaustiva, solo che l’ambizione di Contrappunto pare limitata a presentare un interrogativo di dimensioni più o meno infinite con un’artificio subliminale, un fotogramma nascosto o il fantasma di Charlie Parker che suona una frase stonata, fuori tempo, eppure perfetta.

4 commenti:

  1. Non posso non complimentarmi con te per questa recensione, non sapevo del libro e cercherò di trovarlo visto che è del 2008, ormai sembra che i libri abbiano una scadenza come i cibi! Ma non credo che questo sia andato a ruba...
    molto stimolante anche quello che scrivi sul libro di Gattis il cui argomento mi interessa particolarmente,
    Infine grazie per la recensione di Città in fiamme, francamente speravo che ne scrivessi qualcosa per valutare se leggerlo o no...troppi altri libri mi aspettano :-)
    ti auguro un buon fine settimana
    Maria

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    1. Grazie a te. Contrappunto me l'ha regalato un amico ed è un piccolo libro, ma molto denso. Consiglio Giorni di fuoco, Città in fiamme è uno di quei romanzi che sembrano andare di moda oggi, lungo, prolisso e inconcludente, un po' come Il cardellino, per capirci.

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    2. Città in fiamme non lo leggerò infatti ero già dubbiosa e dopo aver letto la tua recensione e quello che mi dici ora ne sono sicura, pensavo invece di consigliarti, se già non lo hai letto, "Gli ultimi giorni di Smokey Nelson" di Chaterine Maurikakis, secondo me merita,to the next

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