giovedì 20 agosto 2015

Stephen King

Prima il tuffo nel passato di 22/11/’63 poi la rock'n'roll fantasy di Joyland hanno riportato Stephen King verso un mondo di sentimenti ed emozioni, la nostalgia prima tra tutte, che era stato accennato molti anni fa e che ormai sta diventando predominante. Anche il titolo, nella sua ambivalenza, è fin troppo eloquente,: quando il piccolo Jamie Morton incontra per la prima volta il reverendo Charles Daniel Jacobs è affascinato più dalla sua passione per i segreti dell'elettricità che per i misteri gaudiosi, almeno fino a quando (molto presto) la dicotomia tra la fede e la fiducia nella scienza non viene soppiantata dalla fedeltà al rock'n'roll. E' lo sfavillante momento di Yardbirds, Searchers, Green River (“Neppure nei miei sogni più sfrenati sarei riuscito a eguagliare la maestria di John Fogerty dei Creedence Clearwater Revival”), Wild Thing e Van Morrison con Brown Eyed Girl, perché “una canzone alla radio è in grado di riportare in vita il passato un'immediatezza brutale e fortunatamente passeggera: il primo bacio, un bel momento con i tuoi amici o un doloroso periodo di transizione” e tutto ciò che rimarrà in comune tra Jamie e il pastore sarà l'energia elettrica, peraltro usata in modi e con scopi molto diversi. Di tutti i poteri coinvolti in Revival, Stephen King sa riconoscere ed evidenziare il più concreto, così come lo ammette il suo giovane protagonista: “La musica riempì il vuoto della mia esistenza. Era qualcosa di separato dal resto, una verità pura e assoluta. Suonare mi fece di nuovo sentire una personale reale”. Jamie Morton comincia e continua la sua carriera di chitarrista ritmico, lo strumento come “uno scudo elettrico con il jack infilato nella presa e pronto alla battaglia”, una parte delicata e indispensabile nell'addizione di “batteria, basso e due chitarre: questo è il rock'n'roll” (e lo diceva anche Lou Reed in calce a New York). La logica di Revival è la stessa che spinge Jamie Morton a usare un vecchio amplificatore, “il volume sarà talmente alto che non ti sentiranno nemmeno”, e Stephen King può ben permettersi di condividere quel consiglio, “spingilo al massimo e fottitene del feedback”, divertendosi e divertendo il lettore, e non ha senso chiedere molto di più. Quando si attiene a quella che chiama “l'essenziale semplicità” del rock'n'roll, Stephen King convince e sa essere persino commovente: la prima metà di Revival, quella meno oscura, è più solida come già succedeva in Shining e It, richiamati più volte nel corso della storia. Il punto di domanda che invece attraversa tutto Revival è pesante come tutta la letteratura che non ha saputo rispondere in due secoli di civiltà perché resta “insondabile” e alla fine Stephen King non riuscendo ad andare oltre, lo lascia in sospeso perché quella è una porta che non si apre, anche perché “quando qualcuno parla di rischi accettabili, la domanda è sempre la stessa: accettabili per chi?” Il peso maggiore grava sulla seconda metà di Revival quando Stephen King non riesce a trattenere la sua vocazione al fantastico (e per il gotico, in più di un passaggio) e trasforma l'enigmatico reverendo e imbonitore Charles Daniel Jacobs in una sorta di dottor Frankenstein tutto da rivelare, tempeste, lampi, saette e occhi fuori dalle orbite compresi nel prezzo. Non rinuncia neanche a trasportarci in uno dei suoi incubi entomologici che regalano un tono di fumetto a Revival, ma arrivati a questo punto non si può aggiungere di più. Revival è proprio come il rock'n'roll: tolta la sorpresa, non rimane molto altro.

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