domenica 16 novembre 2014

Bill Bryson

C’è un equivoco sostanziale nel titolo, perché l’impresa che vorrebbero portare a termine Bill Bryson e il suo amico Stephen Katz non è proprio Una passeggiata nei boschi semplice semplice. Oltre tremila chilometri seguendo i crinali dell’Appalachian Trail, dalla Georgia al Maine, sono qualcosa più simile ad un’odissea che a una gita domenicale e non tanto perché tra gli alberi si può nascondere una congrega di streghe o chissà quali altre spaventose leggende, ma perché come annota subito Bill Bryson “le foreste non sono spazi qualsiasi. Tanto per cominciare, sono spazi cubici. Gli alberi ti circondano, ti guatano, premono da ogni lato, ti impediscono la visuale, lasciandoti intontito e privo di punti di riferimento. Ti fanno sentire piccolo, confuso e vulnerabile, come un bambino sperso in una folla di gambe estranee. In un deserto o in una prateria si ha la sensazione di uno spazio vasto. Ma di una foresta si può solo avere sensazione. Le foreste sono non luoghi, vasti e senza forma. Vivi”. Attraversarle per sfida, senza un’adeguata preparazione, e con un compagno di viaggio poco meno che disastroso, è la vera impresa. Bill Bryson la racconta con una certa verve e Una passeggiata nei boschi è un libro piacevole, a volte persino divertente, sempre scorrevole con quel suo continuo alternare diario di viaggio e saggio storico. Bill Bryson, perfettamente a suo agio in questo strano ibrido, ha anche mestiere da vendere, ma resta l’impressione, già percepita nei precedenti accumulati con America perduta, che non voglia o non possa andare in profondità nel raccontare il territorio americano, come hanno fatto in modi diversi, senza tante pretese ma in maniera più avvincente, William Least Heat-Moon in Prateria o Jonathan Raban in Bad Land. E’ diverso il tono, come se Bill Bryson guardasse l’America da un oblò, quindi con una visione ristretta, univoca e monocolore. Con troppo distacco per essere convincente, Una passeggiata nei boschi è un viaggio con un obiettivo dichiarato proprio dove, come se ne accorge ben presto Bill Bryson, mancano i punti di riferimento. Essendo un umorista, l’ironia gli torna utile nell’affrontare le difficoltà del viaggio, ma spesso rimane l’unico strumento a sua disposizione  e si perde di vista il tema centrale, che poi è, nella sua essenza, una specie di mito. Rispetto ad America perduta, con Una passeggiata nei boschi, Bill Bryson ha alzato il tiro, perché tra l’avvistamento di un alce e una disgressione sulla qualità di un certo tipo di zaini, offre anche ampi squarci di piogge acide, specie in via d’estinzione, disboscamenti forsennati, fabbriche e miniere che distruggono intere montagne o città. Sono le parti più illuminanti perché, superano una visione paesaggistica e olografica della wilderness per spiegare che “niente dura, in America”. Nemmeno le foreste secolari: figurarsi che speranze hanno gli episodi, gli aneddoti e le nozioni da escursionista che costituiscono gran parte di Una passeggiata nei boschi. 

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