sabato 1 novembre 2014

Jack London

L’attualità di Preparare un fuoco, scritto tra il 1902 e il 1910 rimane sorprendente, per non dire profetica, a distanza di un secolo. Le condizioni assolute, più che estreme, in cui cammina Tom Vincent o Tom Collins (così è variato il nome del protagonista di Preparare un fuoco nel corso delle diverse versioni) è la sua lampante incomprensione della stessa realtà della wilderness, che permette a Jack London di evidenziare e acuire la distanza tra l’uomo, e per estensione il genere umano, e la natura che incombe sopra di lui. Preparare un fuoco sarebbe un’attività che rientra nella routine delle normali procedure quotidiane, ma nella rigidità dell’inverno dello Yukon diventa una questione di vita o di morte, senza eccezioni. Le due versioni di Preparare un fuoco, pur nella differenza dell’evoluzione finale, mostrano l’incapacità dell’uomo di assoggettarsi ai propri limiti e di comprendere quelli imposti dalla natura. Anche i bizzarri tentativi di antropomorfizzare i fenomeni naturali sembrano un frutto dell’arroganza e dell’euforia, almeno alla partenza, come scrive Jack London: “Nonostante tutto si sentiva presente, aveva la percezione di una gioiosa ebbrezza, una vera esultanza; stava facendo qualcosa, stava raggiungendo un obbiettivo, dominava gli elementi”. E’ proprio quella l’esca che attira l’uomo nella sua stessa trappola perché la natura, l’inverno, il ghiaccio e la neve sono lì e non si inventano niente. L’idea di sfidarli e il tentativo di controllarli è insito nell’esigenza dell’uomo di provare la sua stessa esistenza. La fatica di comprenderli rimane esclusa, ed è questa la morale, perché c’è una morale, in Preparare un fuoco. La sua sconfitta non è la vittoria della wilderness che è indifferente al destino umano. E’ un fallimento, dovuto alla negazione dell’istinto primordiale e all’azzeramento dell’esperienza, più percepibile nell’ultima versione del racconto, dove interviene un terzo elemento, quello animale. Lo precisava meglio George R. Adams: “Attraverso il parallelo tra uomo e cane, London suggerisce una sorta di perverso e ironico processo evolutivo: gli esseri umani finiranno per snaturare il cane, rendendolo talmente dipendente e oggettivato che non sarà più in grado di sopravvivere nel proprio ambiente: quindi non sarà nemmeno più utile per servire o salvare gli esseri umani”. Sull’ereditarietà dei caratteri il dibattito resta aperto, ma Preparare un fuoco resta un tassello importante nella variegata bigliografia di Jack London perché traduce in uno splendido frammento narrativo, quello che Charles Darwin aveva già intuito in Diario di un naturalista intorno al mondo: “Noi non teniamo sempre presente alla mente la profonda ignoranza in cui siamo delle condizioni di vita di ogni animale”. Nella categoria è compreso anche in genere umano e “mai viaggiare da soli”, l’imperativo da rispettare nel gelo dello Yukon, vale anche in senso lato perché dice che bisognerebbe condividere e restare vicini alla sostanza degli elementi e dei fenomeni naturali. Sfidarli rimane molto pericoloso, oltre che inutile.

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