giovedì 6 marzo 2014

Joan Didion

La prima impressione, quando Joan Didion arriva a Miami, è che “un’entropia tropicale sembrava prevalere, facendo scivolare in malora i grandi progetti anche quando venivano portati a termine”. L’atmosfera è tale che la città le appare come “una specie di sogno a occhi aperti in cui tutto è possibile” e dentro questa indefinita cornice rientrano Cuba, il Nicaragua, il Salvador, l’estensione delle frontiere e degli interessi americani e, come una logica conseguenza nel rapporto tra causa ed effetto, “l’esilio come una forma di immigrazione”. Dalla presidenza di Kennedy agli anni di Reagan, Joan Didion ha un modo speciale di accostarsi alla cronaca storica, alla critica politica, alla costruzione di un saggio, usando la scrittura come un veicolo, come uno strumento per orientarsi negli oscuri labirinti di Miami e per far emergere e rendere trasparenti “frammenti di narrativa sommersa”. Attraverso questo lavorio Joan Didion cerca di comprendere e tradurre Miami dal punto di vista linguistico, filtrando con la consueta e minuziosa scrupolosità come la realtà influisce sul linguaggio, e viceversa. Non è soltanto la commistione tra spagnolo, inglese e altri idiomi o le culture che rappresentano. Sono anche i vocabolari della politica e della CIA, che costruiscono quella che Joan Didion definisce una “una lingua interamente basata sul principio di negabilità, e come tali potrebbero aver avuto un significato diverso (o anche nessun significato) nella Miami del 1963, dove qualsiasi parola poteva significare tutto e il contrario di tutto”. Vent’anni dopo, con le amministrazioni Reagan, l’informazione viene trasformata in “una forma di arte popolare” e Miami si trova al centro di un ciclone che cambierà tutto in modo radicale e per sempre. Dall’osservatorio privilegiato di Miami, dove niente è “completamente immobile, o del tutto solido” Joan Didion percepisce subito l’entità della metamorfosi indotta dalla comunicazione pubblica di Reagan e dalle sue proiezioni perché “prima di tutto queste storie non erano mai casuali, ma sistematiche, e venivano usate in maniera assolutamente non casuale. Avevano sempre un unico obbiettivo, e il linguaggio in cui venivano raccontate non era quello della politica, ma quello della pubblicità e della forza vendite”. Il fenomeno, come si sa, non riguarderà soltanto Miami o gli interessi americani nei Caraibi e, come precisa Joan Didion, non si trattava soltanto di “volgarità verbale”, a cui lei oppone una raffinata e completa ricostruzione. Dentro quelle parole, e poi soprattutto quelle immagini che a Miami affiorano in superficie chiare, semplici ed efficaci più che nel resto dell’America, diventa evidente che “le rivoluzioni e le controrivoluzioni sono incastonate nella sfera del privato e l’apparato di sicurezza dello stato esiste solo per essere arruolato da uno dei soggetti privati che guidano l’azione”. L’immagine esotica rimane sullo sfondo: con Miami, anno di grazia 1987, Joan Didion percepiva il futuro, così come è oggi.

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