Un'area grande più o meno come il Belgio. Misteriori aerei dipinti di neri che sfrecciano oltre la velocità del suono. Oggetti volanti non identificati e paranoici in osservazione giorno e notte. Esplosioni nucleari nel sottosuolo e radiazioni nell'aria. Forze speciali. Cimiteri di vecchi bombardieri e serpenti a sonagli che ricavano i propri nidi tra prese d'aria e ugelli di scarico. Quantità abnormi di denaro (pubblico) spese in nome della sicurezza nazionale (con i risultati che conosciamo) e senza alcun riscontro, bilancio o notizia ufficiale. Eppure tutto questo non esiste, non è segnato su nessuna mappa: è una terra di nessuno, un non luogo, una specie di frattura nello spazio. Dreamland, sorprendente reportage di Phil Patton, è un viaggio ipnotico, spesso surreale e onirico dentro e attorno la più segretissima e inviolabile delle basi militari americane. Quella, per inciso, dove sono stati creati i maggiori aerei spia (U2 compreso), i bombardieri invisibili (i famosi Stealth) e altri gioielli della tecnologia bellica. E' anche il luogo dove sarebbero di casa gli alieni atterrati (o schiantatisi) a Roswell, come sostengono gli youfers, ovvero gli appassionati di extraterrestri e dintorni. Un “posto che non ha limiti”, come sostiene, con un mucchio di ragioni, Phil Patton. Non è particolarmente necessario essere fissati con l'aviazione, con le pratiche militari o con gli X-File volanti (anche se, scrive ancora Phil Patton, “è utile considerare un velivolo misterioso non solo come un prodotto di ingegneria, ma anche come un fenomeno sociologico ed epistemologico”) per apprezzare Dreamland. Dietro e dentro i misteri, le teorie della cospirazione e i cieli aperti (ed è curioso scoprire cosa significa questa definizione per qualcuno), Phil Patton svela un percorso della mente (“Più ti trovi vicino alle cose, più è difficile vederle”), un esercizio di pazienza, un modello di osservazione, un paesaggio e un mondo fantastici, nel senso letterale del termine. Anche se sono dannatamente concreti. “Un tempo la mappa era vuota. Un tempo il posto era reale" scrive Phil Patton e ad un certo punto sembra proprio che Dreamland sia un capitolo sfuggito a Leggende del deserto americano di Alex Shoumatoff: un viaggio americano unico e, per tanti motivi (ci sono un sacco di cose che non sappiamo) anche attualissimo. Perché più degli aerei invisibili, dei residui alieni (e non) e di tutti i segreti che alimentano le teorie del complotto quello che colpisce nella Dreamland di Phil Patton è l’aura insieme crespuscolare e allucinante. La descrive bene in un passaggio centrale del suo viaggio: “Un giorno d’autunno sono andato in macchina a Tonopah, aggirando il sito dei test nucleari e il poligono di Nellis. Las Vegas millanta di essere la città che non dorme mai ma io ho oltrepassato centinaia di metri di nuovi condomini a ovest della città, vere e proprie comunità-dormitorio. Può sognare, una città che non dorme mai? O è l’intera sua vita alla luce del sole a essere un sogno, come quella di un giocatore d’azzardo, il sogno del colpo fortunato?”. Tra il riflesso di Las Vegas e l’oscurità del deserto, Dreamland lascia vedere un’ombra, sottile e tagliente, che si dipana sull’idea stessa di America.
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