Al di là della somma di affinità e divergenze, contrapposizioni e complicità, l’affaire Beatles vs Stones si protrae, senza soluzione apparente, da decenni. Il tentativo di ricondurre l’evoluzione parallela e spesso contigua dei due gruppi in un unico, effervescente scenario è la componente migliore e più efficace del racconto di John McMillian, che è un professore universitario e nell’occasione sa essere scorrevole e dettagliato nello stesso tempo. L’adesione allo schema della dicotomia è scettica e con un meticoloso lavoro è andato completando un quadro riassuntivo e credibile di cosa hanno rappresentato Beatles e Rolling Stones nel palcoscenico pubblico delle strade di Londra. La prima mossa sulla scacchiera tocca ai Beatles che “iniziarono a incidere canzoni che mettevano alla prova il loro pubblico con parole, suoni, atteggiamenti e immagini che uscivano dal seminato, che lasciavano disorientati. E in questo modo, contribuirono a trasformare il pop in arte. Aprirono una strada nuova per la musica pop ed ebbero un effetto galvanizzante su tutti i loro contemporanei”. Su questo non c’è il minimo dubbio e John McMillian segue i personaggi che hanno affollato lo spazio aperto dai Beatles e allargato dagli Stones, mette a confronto due stili che hanno molte radici in comune e raccoglie anche le relative leggende, ma si assicura di tenere conto di ciò che è stato inventato o millantato. Il rapporto viene scandagliato in tutti i particolari, comprensivi dei luoghi comuni e degli stereotipi che li riguardano: la vasta bibliografia disponibile è stata la fonte principale, poi John McMillian ci ha aggiunto i suoi collegamenti e il suo punto di vista perché “in un certo senso, l’altezzosità bohémien coltivata dagli Stones era artefatta quanto l’immagine scanzonata e ottimista proiettata dai Beatles”. Di episodi e aneddoti ce ne sono un’infinità e la cernita è, se non altro, molto puntuale. Le connessioni artistiche note e meno note, i commenti sulle rispettive ambizioni, tutta un’era che andava di fretta e che ruotava proprio attorno ai Beatles e agli Stones sono riproposte con cura, compresi i ruoli di Brian Epstein e Andrew Loog Oldham, nel costruire le immagini dei gruppi, fino a spiegare con chiarezza che “gli Stones erano ammirati per il modo con cui affrontavano apertamente temi come il sesso, il desiderio, l’ansia, il consumismo, la depressione e la rispettabilità borghese, mentre i Beatles erano accusati di aver imbrigliato lo spirito bohémien. Rispettavano le convenzioni sociali”. La differenza non è mai stata così netta e bisogna dare atto a John McMillian di aver trovato un senso e un equilibrio nel comporre il dilemma concludendo che “né i Beatles né gli Stones, però, erano particolarmente radicali. Entrambe le band, con il loro immenso talento, avevano contribuito a costruire immagini della cultura giovanile che generavano grande fiducia nei propri mezzi, consapevolezza di sé e un’energia libidica, e questo aveva stimolato dei cambiamenti straordinari”. La metamorfosi dei Beatles dai teppisti rock’n’roll di Amburgo alle figure edulcorate e immacolate dei baronetti e degli Stones dai posati ragazzi della middle class alle pose selvagge degli “street fighting man” sono il pepe e il sale sparsi nella Swinging London e John McMillian riesce a rendere l’atmosfera, mantenendo un tono adeguato, non accademico o specialistico, assecondando gli sviluppi nelle relative discografie e il crepuscolo di un’era con le morti di Brian Epstein e di Brian Jones, Altamont, il disastro della Apple e lo scioglimento dei Fab Four. Qui conta l’avvento di Allen Klein, manager prima negli Stones e poi nei Beatles, un personaggio che da solo ha mutato la storia di entrambe le band e ha contribuito non poco a deviare il rapporto tra l’industria discografica e il rock’n’roll che è andato sfumandosi in una passiva accettazione di tutto ciò che passa il convento. Del resto il suo modus operandi di Allen Klein era questo: “Due parti firmano un contratto in buona fede, nella speranza che esprima quello che tutte e due vogliono da una relazione. Ma le situazioni cambiano e i contratti vengono rinegoziati”. Da accordi e note a percentuali e dividendi il passo è breve, e questa è la vera fine delle intersezioni dei Beatles vs Stones. Su quello che sono diventati in seguito gli Stones John McMillian, è piuttosto frettoloso ed evasivo, ma qualche ragione ce l’ha, in effetti, perché si tratta comunque di altri tempi e di tutta un’altra storia. Qualche svista (tra cui Keith Moon che diventa il chitarrista degli Who: certi dettagli non li insegnano all’università) è relativa nel contesto generale che ha le proprietà, ormai rare, della sintesi e con un bel finale dove ricorda che “d’altra parte, non c’è niente come la musica per fare un tuffo nel passato, per evocare la nostalgia, e questo può essere una cosa potente, meravigliosa”, e naturalmente vale per i Beatles e così per gli Stones.
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