Con James Lee Burke, la Louisiana è sempre un’esperienza nel tempo e nello spazio, anche filtrata attraverso le gradazioni di un Arcobaleno di vetro. Lo schema magari è noto e si è ripetuto negli anni e un paio di dozzine di romanzi, ma è anche vero che chi conosce le abitudini di Dave Robicheaux e di Clete Purcel non si aspetta nulla di differente, se non la consueta lotta senza esclusione di colpi contro antichi e nuovi nemici che sono sempre predatori del territorio, degli indifesi e degli innocenti, con un’innata estensione verso la sfera sessuale, in generale, e quella femminile, in questo caso specifico. Il groviglio che filtra dall’Arcobaleno di vetro comprende tutta una fitta serie di personaggi che lasciano un alone malefico per ogni passaggio che va ad aggiungersi alla quotidiana amministrazione di miscela di brutalità, indifferenza e crudeltà che Dave Robicheaux deve sopportare un giorno dopo l’altro da troppo tempo, tanto da confessarsi così, senza alcun pudore: “Nel mio lavoro c’erano momenti in cui avrei voluto scavare una buca nella terra, seppellire il mio scudo e strofinarmi la pelle con l’acqua ossigenata”. In Arcobaleno di vetro si chiamano Robert Weingart, Kermit Abelard, Herman Stanga, Layton Blanchet e in un modo o nell’altro nella gestazione dei loro sordidi intrighi hanno commesso l’errore di incrociare gli stessi sentieri di Streak e Clete che riescono a sopravvivere grazie alla convinzione che “quello che gli altri fanno o non fanno non è un fattore determinante. Noi non cessiamo di essere quello che siamo”. La separazione tra buoni e cattivi è tutta lì ed è già esplicita nella distinzione sul terreno, dove vivono Clete e Streak e dove dominano gli altri. Per loro, le strade, il cibo, il clima, i temporali, la pioggia, le albe e le notti che fioriscono nella scrittura di James Lee Burke, sono una componente irrinunciabile del paesaggio della Lousiana che ha angoli rappresentativi ovunque. Non fanno parte del bottino, e non lo devono diventare perché come spiega Robicheaux in particolare, c’è qualcosa di più: “respirai l’umida purezza dell’aria e l’odore di uova di pesce, di humus e di alberi bagnati nella palude. Niente di tutto ciò costava cinque centesimi, e questo era un pensiero che speravo di tenere stampato in testa finché sarei vissuto”. Il problema è che nei riflessi dell’ Arcobaleno di vetro vengono messi aleggiano attorno a Streak e Clete segnali che non vogliono (o meglio: non vorrebbero) cogliere, anche se ne hanno chiaramente sentore perché sanno che “la memoria e la presenza sono inestricabilmente connesse e non dovrebbero mai essere considerate entità distinte”. Tutto è reso ancora più complicato dal fatto che Alafair, la figlia adottiva di Robicheaux, ormai diventata scrittrice, è invischiata in una relazione ambigua e rischiosa che mette a dura prova anche i legami famigliari. Del resto il mondo di Clete e Streak è foriero di contraddizioni: l’elemento stesso della violenza (spesso risolutoria) è una caratteristica simbolica ed emblematica, l’elemento soprannaturale anche se limitato a un’allucinazione visiva, un battello che appare nei momenti più critici, è significativo, e i continui contrasti tra i Bobbsey Twins sono un po’ il pepe, il sale e il tabasco in abbondanza sull’Arcobaleno di vetro. Più che mai inseparabili, sono costretti a ricorrere a tutto il loro arsenale, ma va dato atto a James Lee Burke, che le armi da fuoco (e qui si spara un bel po’) restano l’extrema ratio, prima vengono comunque i tentativi di comprendere, una volta di più, cosa sta succedendo nei confini della Louisiana. I limiti, quelli veri, sono molto più diffusi, come ben sa Clete, e lo esprime come meglio non si può: “Hai mai conosciuto un demente che fosse diverso? Hanno saltato l’addestramento all’uso del bagno e all’allacciatura delle scarpe, ma sono esperti di tutto, dalla chirurgia cerebrale alla gestione della Casa Bianca”. Questo è il sottinteso dell’Arcobaleno di vetro, poi la verità è che non vorremmo essere Clete Purcel, ma ci piacerebbe un sacco avere un patio come il suo dove rifugiarci, di tanto in tanto.
Nessun commento:
Posta un commento