“Con ottanta uomini potrei sottomettere l’intera nazione Sioux” sosteneva il capitano dell’esercito americano William J. Fetterman sullo sfondo delle guerre per il territorio, ovvero per la colonizzazione del West. La sua arroganza venne ripagata, ma proprio al contrario: il 21 dicembre 1866, lui e il suo contingente vennero attirati in un agguato orchestrato da Cavallo Pazzo e decimati in una battaglia feroce. Questo l’evento storico su cui Michael Punke ricama Il crinale che è un luogo, prima di tutto, una formazione rocciosa che domina il paesaggio ed è il punto di partenza e d’arrivo di quella che Philipp Meyer chiama “la versione corretta” dei fatti. L’attrito tra verità e memoria consiglia cautela, però è evidente che la struttura su cui poggia Il crinale ha delle solidissime basi. Michael Punke elabora gli elementi storici con molta attenzione, aderendo agli aspetti concreti e documentati con partecipazione e, a tratti, anche con deferenza. Quello che Il crinale può aggiungere è un insieme di prospettive che riportano le cronache dell’epoca all’interno di un quadro più preciso. La rapacità del governo americano, mai scemata e spinta dalla concezione di una nazione continentale e sorretta dalla deviazione filosofica del “destino manifesto”, è raccontata da Michael Punke in un romanzo avvincente che però non perde mai di vista la complessità della situazione geopolitica e umana. Seguendo una bella serie di personaggi, ognuno con la propria sfumatura ben determinata, Michael Punke fa scoprire tutti quei dettagli che costituiscono una sorta di preparazione, da una parte e dall’altra, al grande scontro finale. Un meccanismo classico, dal punto di vista narrativo, che però gli permette di raccontare le debolezze degli uomini, l’alcol di contrabbando, la corruzione nell’esercito, le divisioni e le alleanze tra gli indiani. La devastazione della valle per costruire il forte è una scena che rende vivida la vita che Il crinale sottintende ed è utile il doppio diario di Frances Grummond, un resoconto parallelo per andare a scoprire le difficoltà femminili e le macchinazioni e gli inganni della corsa verso il West. Sul versante opposto, Il crinale scandaglia con proprietà anche la multiforme cultura indiana, concentrandosi in gran parte attorno alla figura di Cavallo Pazzo e alla sua leadership. Ne celebra l’ascesa tra le tribù, che si sviluppa in gran parte dell’azione conclusiva, che ha momenti lirici e atroci nello stesso tempo e lo porta a concludere che “il resto del mondo era così disgregato che ormai non dava più nulla per scontato”. La trama è lineare, anche se sottoposta al cambio dei punti di vista, con scansioni abbastanza regolari, e la lezione di Larry McMurtry, ricordato anche nell’appendice, è stata raccolta e per certi versi semplificata, ma la scrittura non è meno coinvolgente, perché offre l’opportunità ai protagonisti di far sentire la propria voce, come farà il trombettiere Metzger quando dice: “Ne aveva le tasche piene di combattere gli indiani, anzi, non aveva più voglia di combattere nessuno. Quando ci pensava, si stupiva di essere riuscito a restare vivo così a lungo. Da adesso non avrebbe più lasciato queste cose al fato. Era liberatorio immaginare una vita nuova e diversa”. Per completare il quadro, che rende Il crinale appassionante come un western di gran classe e ricco quanto un’enciclopedia, va ricordato che, rispetto alla battaglia di Fetterman, c’era stato un precedente, nello spietato massacro di Sand Creek, e ci sarà un seguito a Little Bighorn dove il generale Custer e la sua cavalleria andranno incontro alla disfatta e alla morte. Cavallo Pazzo sarà ancora il protagonista, ma da lì in poi la sorte dell’America e degli indiani sarà segnata dall’orribile realtà del loro genocidio.
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