martedì 6 dicembre 2022

Tom Robbins

Nell’Indo-Tibetan Circus & Giant Panda Blues Band il cast animale e umano è ristretto, intimo e legatissimo. Tom Robbins li presenta così: “Avevano due tamnofidi o serpenti-giarrettiera. E la mosca tse-tse non era neppure viva. Non si poteva certo parlare di attrazione lungo l’autostrada”. C’è anche un babbuino, Mon Cul, ma i primati hanno i loro diritti e nessuno vuole considerarlo parte dello show. Quello che c’è da vedere non è un granché, ma è abbastanza da considerare l’ipotesi che “un individuo può essere libero e felice quanto vuole esserlo perché non c’è niente da perdere e niente da guadagnare”. È questa la teoria nel cuore del brillante esordio di Tom Robbins, frutto di una lunga coda psichedelica che nel 1971 gli permette di articolare attorno ai suoi variopinti personaggi una complessa composizione di discussioni filosofiche. La picaresca popolazione che affolla Uno zoo lungo la strada è uno dei diversivi cari a Tom Robbins, capace di stordirti a furia di iperboli. Per cui è vero che “la maggior parte degli attori si lasciava ormai trasportare da una propria estasi. Ballando. Cantando. Arrampicandosi sugli alberi. Contemplando la luna (di un arancione mango e sottile come una tortilla). Mangiando. Bevendo. Amoreggiando. Sognando. Ciondolando. Brancolando. Trapanando: rinfrescandosi le tonsille con pennelli alcolici”, ma d’altra parte il confronto tra Amanda (al centro di ogni discussione, anche quando non c’è), John Paul Ziller (con lei unito in matrimonio), Plucky Purcell e Marx Marvelous è senza sosta e travolgente. Detto questo, la ricchezza delle chiacchiere è sfuggente e intrigante: “È vero che Roland Kirk è l’intera orchestra di Count Basie vestita da donna?”, si chiedono ed è uno dei dilemmi che agita Uno zoo lungo la strada, ma bisogna fare attenzione perché “per un artista una metafora è reale quanto un dollaro”. Tom Robbins usa l’ironia per raccordare una moltitudine di divagazioni e l’apoteosi verbale che si spalanca in Uno zoo lungo la strada può ancora raccontare molto, pur tenendo conto dei limiti delle espressioni dell’epoca e degli svolazzi utopici: “In altre parole, l’appianamento di tutte le questioni, la soluzione di tutti i problemi, non sono determinati da quello che può rendere la gente più sana e più felice nel corpo e nella mente ma dall’economia. Dollari o rubli. Economia über alles. L’essenziale è che niente interferisca con la crescita dell’economia, anche se quella crescita sta castrando la verità, avvelenando la bellezza, trasformando un continente in un mucchio di letame e portando un’intera civiltà alla follia”. Come una folle riunione di condominio sulla Route 66 i protagonisti discutono di tutto, cercando di spiegare che l’anima è “una manifestazione elettrochimica, una sintesi di proteine, un baluginio di elettricità nervosa”,  inseguendo i destini della farfalla monarca (e non solo: a tratti Lo zoo lungo la strada sembra un trattato entomologico), discernendo in allegria di un’epidemia di gonorrea o delle avventure discografiche degli Hoodoo Meat Bucket (l’accostamento con la malattia venerea non è casuale) o, ancora del senso dell’arte (“La funzione dell’artista è di fornire quello che non fornisce la vita”) fino ad arrivare alla lunga diatriba sulle religioni e sull’infinito. Un tema che serpeggia in lungo e in largo in Uno zoo lungo la strada e che comincia partendo dall’ipotesi che forse “la vita di Cristo era un esempio per i vivi e non una promessa di aldilà per i morti”.  Nell’affollarsi di personaggi attorno allo strampalato convivio, ogni tanto si intrufola Tom Robbins in persona, ma senza infierire: “È evidente che sono lacerato dai dubbi. È tutto maledettamente sconcertante. Ma intendo perseverare, perciò consentitemi di andare avanti”. Alla fine si presenta persino Tarzan che, ça va sans dire, ha pure le sue opinioni. Il suo colloquio con Gesù Cristo in persona nel bel mezzo del deserto è impagabile ed è lo zenith di una trance letteraria, scoppiettante, caotica e geniale fino in fondo. Colonna sonora, inevitabile e obbligatoria, i Grateful Dead in tutte le loro incarnazioni.

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