Avendo dedicato una vita all’osservazione degli ambienti naturali, come guardaboschi e come libero pensatore, Aldo Leopold è metodico nel formulare l’approfondimento dalla sua contea sabbiosa del Wisconsin. Un punto di partenza circoscritto e ben definito nelle intenzioni, così come nelle conclusioni di Pensare come una montagna che per Aldo Leopold vuol dire, prima di tutto, considerare che “c’è valore in qualsiasi esperienza che ci ricordi la nostra dipendenza dalla catena alimentare suolo-pianta-animale-uomo, e della fondamentale organizzazione del biota. La civiltà ha sconvolto a tal punto la relazione elementare tra uomo e terra, grazie a innumerevoli gadget e vari intermediari, che la nostra coscienza di essa si sta affievolendo. Noi crediamo che sia l’industria a mantenerci, ma dimentichiamo ciò che mantiene l’industria. C’è stato un tempo in cui la cultura andava verso la terra invece di allontanarsene”. Le minuziose osservazioni quotidiane della flora e della fauna, di tutte “le cose libere e selvagge”, riportate poi nel suo almanacco con un fraseggio colorito e informale, si rivelano in realtà una trama fitta e approfondita che si distende dalle complessità del rapporto tra gli esseri umani e l’ambiente in cui vivono al mito, tutto americano, della wilderness. Se al primo sguardo gli splendori e le asperità naturali sono soprattutto “cibo per gli occhi”, ed è vero, poi Aldo Leopold si convince che la contemplazione può portare da una comprensione specifica a una visione molto più ampia proprio perché “la nostra capacità di percepire l’essenza della natura inizia, come nell’arte, dal grazioso. Attraverso fasi successive si espande al bello e via via fino a valori non ancora catturati dal linguaggio”. La conoscenza dell’ornitologia, della botanica e della geologia, delle pratiche agricole si dipanano ogni volta con grande generosità, ma anche con un’attitudine ecologica disincantata e in sé molto lucida e ancora più attuale oggi che nel 1949, quando A Sand County Almanac (ovvero Pensare come una montagna) uscì per la prima volta. Raccontando le trasformazioni della prateria, delle paludi, dei boschi e dei corsi d’acqua, Aldo Leopold è un esploratore appassionato, ma anche consapevole che, pur mettendo in conto ogni sforzo possibile, “tuttavia ogni nostra tutela della natura selvaggia è destinata a fallire, poiché per prenderci cura dobbiamo poter vedere e accarezzare, e quando in troppi hanno visto e accarezzato non restano più luoghi selvaggi di cui prendersi cura”. Dovendo Pensare come una montagna, la buona volontà non è sufficiente: occorre considerare che “la terra come comunità è il principio base dell’ecologia, ma che essa sia qualcosa da amare e rispettare è un’estensione di natura etica”. Questo è il passaggio centrale del pensiero di Aldo Leopold, il seme che lascia le lande americane per diffondere un’idea elevata, ma nello stesso tempo limpida, dell’esistenza sulla e della terra perché “in fondo tutto si riduce alla stessa cosa: vivere in pace”. La voce di Aldo Leopold giunge forte e chiara e se proprio serve un’interpretazione valga quella di David Jéròme che nella colta e precisissima introduzione scrive: “Pensare come una montagna equivale ad importare nelle pratiche quotidiane il punto di vista olistico, o sistemico, dell’ecologia scientifica e quindi a rivestirla di una dimensione etica: sapere contemplare significa immediatamente sapere imporsi delle regole, dei limiti ma anche delle forme positive di interazione con l’ambiente”. In realtà, Aldo Leopold lo dice in modo molto più rustico e osservando la “valorizzazione” dei territori selvaggi, ovvero la proliferazione di strade e gadget, si chiede “a che serve tanta libertà senza uno spazio vuoto sulla mappa?”, ed è una domanda che può sorgere soltanto quando si comincia davvero a Pensare come una montagna.
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