L’ossessione tutta americana per le armi ha offerto a Jennifer Clement il terreno ideale per ricostruire in Gun Love uno spaccato impietoso e drastico di un’umanità dolente, emarginata, confusa e devastata dall’incuria e dalla solitudine. Margot (madre) e Pearl (figlia) vivono in un’automobile prodotta alla fine del ventesimo secolo, parcheggiata sul limitare di un campeggio di roulotte in Florida. Gli elementi paesaggistici sono pochi e determinanti: attorno ci sono soltanto le paludi e una discarica che incombe con i suoi miasmi. Margot lavora in un ospedale per reduci, Pearl va a scuola e inganna il tempo vagando nel parcheggio delle roulotte, che è un po’ un capolinea di esistenze disastrate. Il principale (e unico) momento collettivo sono le funzioni del pastore Rex. Il massimo divertimento è sparare agli alligatori, non un granché. Una condizione esistenziale e sociale che Joe Bageant in La Bibbia e il fucile ha descritto così: “Come per tantissimi americani, il loro concetto di libertà personale è ridotto ormai a un pallido simulacro, al simbolismo insito nel fatto di possedere un’arma o alla libertà di esprimere la propria individualità comprando e accumulando altra immondizia insensata”. Il riscontro, secondo il punto di vista di Pearl, è immediato: “Nel campo roulotte tutti vendevano qualcosa, promettevano qualcosa o sognavano qualcosa. Nessuno credeva in niente. Non ci voleva molto a capirlo”. Lo equilibrio di Margot e Pearl, che pensano di vivere e di potersi nutrire di canzoni, convinte che “l’unica cosa di cui tutti in realtà abbiamo bisogno è ascoltare una canzone e lasciarci trasportare”, meglio ancora se è un blues di Louisiana Red o Albert King, è spezzato dall’arrivo di Eli Redmond, un enigmatico outsider di cui Margot si innamora immediatamente, e irrimediabilmente. Il colpo di fulmine è suggellato da un dono speciale: neanche a dirlo, Eli le offre una pistola con la certezza che “se un uomo regala un’arma alla sua donna è perché si fida davvero di lei”. Il gesto è ambiguo, la motivazione sibillina e foriera di ulteriori sventure, che non mancheranno perché “quando ci sono di mezzo le armi si finisce sempre con il trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Di armi in quell’angolo dimenticato della Florida ne girano un bel po’: le hanno tutti, dai veterani al pastore Rex che le ricompra per toglierle dalle strade fino a Ray e Corazón che le nascondono in una roulotte abbandonata che Pearl comincia a usare quanto Eli e Margot la sloggiano dalla vecchia Mercury per ovvie ragioni. È facile intuire che, con tutte quelle pistole e fucili in circolazione, una o più vittime sono da mettere in conto, più prima che poi. L’evento produce una spaccatura netta in Gun Love: Jennifer Clement sa che “ci sono parole così affilate che ti ci puoi tagliare” e lascia scorrere Gun Love in due parti esatte e speculari, come i lati di un vinile, e nella seconda il parcheggio delle roulotte viene lasciato al suo amaro destino e la trama si annoda a un pellegrinaggio verso Corpus Christi, sulla tomba della cantante tex-mex Selena Quintanilla-Pérez uccisa da un colpo di pistola il 31 marzo 1995, a soli ventitré anni. Un’ultima istantanea che Jennifer Clement infila nelle pieghe di Gun Love con la stessa discrezione che distingue la sua voce: un tono distaccato eppure partecipe, come se stesse raccontando la storia sul campo, come se fosse cosciente che “le armi da fuoco possono avere un posto nell’animo di un uomo”. Lo scriveva ancora Joe Bageant, che infine è stato capace di trovare la saldatura tra la Bibbia e i fucili che scorre nelle vene dell’America ed è alla fonte di Gun Love. Solo che Jennifer Clement va oltre e nel svolgere tutta l’amarezza che circonda e imprigiona Pearl ci ricorda, con estrema chiarezza, che le armi non sono fatte per difendere, sono fatte per uccidere.
Nessun commento:
Posta un commento