giovedì 1 dicembre 2016

Flannery O'Connor

Al di là dei racconti selezionati con La schiena di Parker (e tra gli altri alcuni classici come Un brav’uomo è difficile da trovareIl fiumeLa vita che salvi può essere la tua o Non si può essere più poveri che da morti), questa selezione ha il pregio di annoverare alcuni frammenti di notevole valore tratti da Il territorio del diavolo e soprattutto una piccola campionatura delle lettere di Flannery O’Connor che rivelano un rigore nella formazione delle riflessioni poi espresse con un tono tagliente. La predisposizione a separare (a incidere) nettamente a dividere gli aspetti più superficiali della scrittura (dell’arte in generale) sono evidenti in Natura e scopo della narrativa dove Flannery O’Connor si dimostra una grande teorica e trova sempre il modo di puntualizzare la sua visione senza paura di prendere posizione, per esempio sparando ad alzo zero sulla didattica perché “vogliamo l’abilità ma, da sola, è mortale. Necessaria è la visione che l’accompagna e non la otterrete da un corso di scrittura”. Il territorio della narrativa è sempre “qualcosa da desiderare”, e questo vale anche per tutti: “C’è qualcosa in noi, sia come narratori che come ascoltatori, che richiede l’atto di redenzione, al fine di offrire a chi cade la possibilità di risorgere. Il lettore di oggi, anche giustamente, cerca questo processo, ma ne ha dimenticato il prezzo. Il suo senso del male è diluito o manca completamente, e così ha dimenticato il prezzo del riscatto. Quando legge un romanzo vuole il tormento dei sensi o l’elevazione dello spirito. Vuole essere trasportato all’istante in una finta dannazione o in una finta innocenza”. Nessuno sconto né ai principianti, né all’accademia: “Ovunque vada mi chiedono se, secondo me, le università soffocano gli scrittori. Il mio parere è che non ne soffocano abbastanza. Con un buon insegnante più di un best-seller si sarebbe potuto prevenire”. La distanza è ancora più evidente nelle lettere dove Flannery O'Connor mostra una verve impagabile. Essendo già autocritica a sufficienza, di fronte a un'analisi tutta imperniata sugli aspetti gotici della sua scrittura risponde:“Mi fa sorridere vedere le mie storie descritte come storie dell’orrore perché il recensore ha sempre un senso dell’orrore sbagliato”. Più in là, in un'altra corrispondenza sembra, rincarando la dose in modo ruspante e senza inibizioni: “Il senso morale è stato geneticamente estirpato da certe categorie di popolazione così come geneticamente sono state fatte nascere galline senza ali per ricavarne più carne. La nostra è una generazione di galline senza ali che suppongono sia stato quello che Nietzsche intendeva dire quando disse che Dio era morto”. Non le sfugge nulla: nel campo della fede (cattolica), un tema su cui non teme di spendersi con generosità riesce a inventarsi un'acrobazia linguistica al limite del paradosso (se non oltre) quando dice: “Trovo ragionevole credere, sebbene queste credenze siano al di là della ragione”. Quella di Flannery O'Connor è una voce inconfondibile e la sua unicità è tale che, fatte salve le diverse prospettive, non si intravedono differenze tra il tono dei racconti, dei saggi o delle lettere, a conferma dell'idea che “la narrativa riguarda tutto ciò che è umano e noi siamo polvere, dunque se disdegnate d’impolverarvi non dovreste tentar di scrivere narrativa”, e così sia.

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