martedì 21 aprile 2015

Philip Roth

Trasformato in un simpatico, curvilineo ed enorme seno, David Kepesh, uno dei più voluttuosi alter ego di Philip Roth, si ritrova a guardare il mondo e la vita da “quella prospettiva da cui ogni cosa appare terrificante e misteriosa. Rifletti sull'eternità, considera, se ne sei capace, l'oblio, e tutto diventa un portento”. La percezione, imbrigliato su un'amaca e accudito da un discreto tran tran di particolarissime visite, è proprio quella ed è l'introduzione perfetta a un racconto grottesco, dove l'elemento eccentrico, giocoso, irriverente su cui si appoggia Il seno si evolve per gradi in una più acuta e tagliente riflessione sulla letteratura, che parte proprio da lì, dal ridicolo e dal paradossale, perché come dice David Kepesh alias Philip Roth “anche se può sembrare tanto alla moda, grazioso e deliziosamente punitivo, mi rifiuto di credere che sono quel che sono perché quel che sono è ciò che ho voluto essere. La realtà è più grandiosa. La realtà ha più stile”. La fantasmagorica mutazione si può ridurre a una parodia della Metamorfosi kafkiana (e questo è il primo e più esplicito impatto) o, restando in superficie, si può leggere come una specie di surreale New York Story di Woody Allen, uno scenario comico, senza per questo limitarne il valore. Inciso dal bisturi affilato della scrittura di Philip Roth, sotto Il seno c'è molto di più, e viene svelato nella sfumatura finale. Nell'ossessione per il corpo (e per il sesso, va da sé) si genera un tributo agli stati di alterazione che provocano i capolavori letterari. La struttura del racconto è lineare, plastica, diretta e a David Kepesh non sfugge alcun particolare dalla sua inedita posizione di mutilato. L'immobilità lo spinge, oltre a concedersi (con insistenza, e non senza una certa ilarità) la ricerca del piacere epidermico, a concentrarsi sull'altra ipotesi, che la sua nuova, nuda e cruda condizione sia una proiezione psichica dovuta all'esposizione continua, assidua, appassionata alle radiazioni di Robert Musil e Fëdor Dostoevskij e Shakespeare (più di tutti), nonché dai turbamenti provocati dall'amore infinito per Il naso (Gogol'), per I viaggi di Gulliver (Swift) o per Rainer Maria Rilke, scelto per la sublime chiusura. Assediato da tutte queste creature, David Kepesh cerca, non senza fatica, una“melanconico equilibrio”, e sorge spontanea l'empatia per le sembianze che ha assunto in un modo o nell'altro.Anche, a maggior ragione, per Philip Roth e, non a caso, è proprio lui, alla fine, a suggerire che Il seno si può interpretare con una certa chiarezza: “Questa non è una tragedia come non è una farsa. E' soltanto la vita, e io sono soltanto umano”. Detto da una mammella adagiata nell'incomprensibilità della sua natura appare una contraddizione ed è lì che invece Il seno prende una forma compiuta, quando David Kepesh si rende conto che, attraverso il suo unico capezzolo, potrebbe fare impazzire il mondo. E' sempre l'oggetto del desiderio, e il desiderio stesso. I Beatles e i Rolling Stones ci sono riusciti con molto meno, e senza la tette.

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