lunedì 13 aprile 2015

James Purdy

Garnet Montrose, “il reduce più spettrale della letteratura americana”, come l'ha definito Jerome Charyn, è un'ombra, vivo testimone della sua consapevolezza: “Capite, io parlavo fra me e me, raccontandomi la stessa storia che mi ero raccontato tante volte, ma in un certo senso questo mi era di aiuto: cercavo di spiegare a me stesso come mi fossi ritrovato in questo stato, quando ero saltato in aria, e tutte le vene e le arterie si erano spostate dall’interno all’esterno al punto che, così aveva detto senza mezzi termini il medico militare, ero stato rivoltato come un guanto”. Vive nella casa di famiglia e “vicino c’è l’oceano, i cui umori sembrano imitare i miei: qualche volta anche se il cielo è luminoso mugghia, strepita e ulula e perfino piange come un bimbetto. E a proposito di pianti, il dottore dice che le ferite non hanno recato alcun danno reale alle mie ghiandole lacrimali, ma io penso che su questo punto come su tanti altri si è sbagliato di grosso perché non mi riesce di piangere e se comincio a farlo provo un gran dolore alle suddette ghiandole, come se qualche spunzone di roccia o pietra mi trafiggesse i nervi al vivo”. La sua condizione, la gravità delle ferite, le mostruosità lasciate incise sulla pelle, nelle ossa, nell'anima lo rendono capace di vivere Come in una tomba, quindi senza alcuna paura, ma anche nel terrore di non poter conoscere la gioia. Non sarebbe nemmeno poi lontana, perché Georgina Rance, il suo primo amore, l'amore della sua vita, abita a pochi isolati di distanza. E' sempre stata lì: Garnet Montrose le scrive tutti i giorni e per mantenere l'epistolario assume di volta in volta un messaggero. Ne resteranno due: Quintus Pearch, e Potter Daventry. Quintus Isham Pearch è la voce della verità che svela un “wicked messenger” perché, per dirlo con parole sue, arriva il momento che il messaggero “se la scopa”. L'amore platonico di Garnet Montrose viene sublimato dall'irruenza di Potter Daventry e, nelle visioni esoteriche che ondeggiano tra le due case, Come in una tomba prende l'atmosfera di una torbida ballata folkie e “lo scopo della musica folk, vi piaccia o non vi piaccia, è di farvi piangere”. Di sicuro è emozionante e ha ragione Jerome Charyn quando dice che: “James Purdy è uno degli scrittori americani più intransigenti. Lavora in un suo angolo buio e costruisce le sue semi-favole intorno a un universo corrosivo dove i figli cercano i propri padri e cadono vittime di una catena senza fine di ciarlatani e pazzi”. L'identikit collima alla perfezione in Come in una tomba: la dimensione irreale del sopravvissuto (“Se davvero ho una memoria, come dicono, è sepolta sotto le viscere della terra perché in realtà fatico a distinguere un giorno da quello successivo”) si moltiplica nel cercare una risposta nella lettura perché, oltre alle missive per Georgina Rance, i messaggeri hanno il compito di leggere per lui e “tutti sanno del mio segreto di leggere libri che non capisco a fondo, di cui non colgo le parole con esattezza, ma non credo che qualcuno abbia scoperto dove vado quando tutto è buio e silenzioso”. Sono quelli gli anfratti che esplora James Purdy con la scrittura asciutta, ruvida, tagliata a colpi d'ascia, perché come scrive ancora Jerome Charyn: “James Purdy non celebra le meraviglie del nostro quotidiano, ma mette il dito sulla piaga, affronta le paure della nostra vita notturna, l’aritmetica scabrosa dei sogni”. Non è un lavoro facile.

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