venerdì 5 luglio 2013

Patti Smith

E’ interessante il continuo lavoro di ricostruzione del passato, l’utilizzo della scrittura come strumento per riformulare la lettura di una biografia, di una storia, di una vita, la sua in particolare. Il ritorno all’infanzia a fragili increspature dei ricordi, a nodi di legami intrecciati, aggrovigliati in immagini senza cornici è celebrato da Patti Smith assecondando cicli regolari perché è quel momento inafferrabile in cui “vaghiamo nella vita, castoni senza pietra. Finché un giorno non prendiamo una svolta ed eccola lì a terra davanti a noi, una goccia di sangue sfaccettato, più reale di un fantasma, sfolgorante. Se ci muoviamo, rischierà di sparire. Se non agiamo, nulla sarà redento. C’è un modo per risolvere questo piccolo enigma. Dire la propria preghiera. Non importa in che modo. Perché una volta finito si possiederà l’unico gioiello che valga la pena di conservare. L’unica gemma degna di essere regalata”. E’ lei la principale tessitrice di sogni che propaga attraverso una scrittura dalla forma mutevole e impalpabile le suggestioni della memoria e dell’emozione scardinata dal tempo e dalla vita. In prospettiva, comincia tutto con I tessitori di sogni, un piccolo libro che viene dal passato e da un frangente molto delicato dell’esistenza di Patti Smith, coinvolta in una conduzione famigliare difficoltosa, in un primo, timido comeback con Dream Of Life e con il marito Fred Sonic Smith avviato lungo un doloroso crepuscolo (morirà tre anni dopo la prima pubblicazione di I tessitori di sogni). Nei rari momenti di tranquillità, Patti Smith si rifugiava in un angolo incolto e selvaggio del suo giardino per lasciarsi avvicinare dal soffio dell’arte, dell’ispirazione, della bellezza da “una di quelle cose inesplicabili. Perché è una modalità in cui si entra senza aspettative o finalità. Quando, persi nei propri pensieri, si sente un colpetto sulla spalla e ci si ritrova scagliati lontano, in un turbine di polvere, sballottati e frenati di colpo”. Anche se nella rilettura e nella scrittura degli anni successivi quel periodo sarà di volta in volta reinterpretato e circondato da una luce più morbida e sfocata, la sincerità di Patti Smith emerge in queste pagine come “un folle patchwork di verità, di quelle selvagge e caotiche, che non hanno quasi nulla a che fare con la verità”. I suoi piccoli rituali bucolici, il minuscolo taccuino da riempire con “attenzione” e “accortezza” nel tentativo di “catturare qualcosa di lontano e portarlo vicino” si risolvono in un tessuto impressionistico, a tratti criptico, frammentario ed evanescente che però si conclude con una singolare epifania: “Il destino ha voluto che seguissi un cammino molto lontano da quello dei miei antenati, tuttavia i loro costumi sono anche i miei. E nei miei viaggi, quando vedo una collina punteggiata di pecore o un bastone poggiato tra le foglie di castagno, mi sento invadere dal desiderio di essere di nuovo ciò che non sono mai stata”. Un fragile turning point che, da lì in poi, ha segnato la sua vita e la sua percezione in modo indelebile. 

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