martedì 25 giugno 2013

Thomas Pynchon

La missione di Kurt Mondaugen, giovane ingegnere tedesco, è quella di scoprire la natura e l’evoluzione degli “sferici”, misteriosi fenomeni sonori che fluttuano enigmatici nel corso di “anni innaturali”. E’ la primavera del 1922 e il suo destino lo porta nel protettorato sudafricano, colonia tedesca diventata una terra di nessuno all’indomani della sconfitta nella prima guerra mondiale. La cupa atmosfera che lo accoglie è l’elemento determinante e chi ci arriva trascinato dalle onde di V. sa che “non si trattava neppure di una depressione economica: era una depressione dell’anima, la quale sicuramente infestava tutta l’Europa, così come infestava quella casa”. Mondaugen vi si ritrova imprigionato per via di “una parola sola, ma sgradevole: rivolta” e sono gli herero che dopo anni di torture e vessazioni cercando la vendetta o la libertà o tutte e due. La resistenza si trasforma in un “Assedio-Party”, un enclave in cui la decadenza umana e politica si materializza in un convivio di ambiguità e distorsioni, “un piccolo conclave europeo”, l’estremo residuo di un’avventura che “mancava di senso pratico, che era gravida di idealismo, di fatalità. Come se prima i missionari, poi i commercianti e i minatori, e infine i coloni e i borghesi, avessero tutti avuto la possibilità di ottenere un successo, di riuscire in qualcosa, e avessero fallito, e ora era venuta la volta dell’esercito”. Il ritorno in forze delle armate e delle granate, il rinnovato massacro dei ribelli, non sembra scuotere più del tanto La storia di Mondaugen perché, come lascia filtrare con ineguagliabile maestria Thomas Pynchon, “forse siamo i pesi di piombo di un orologio a pendolo immaginario, necessari a tenerlo in funzione, per far sì che il senso ordinato del tempo e della storia prevalga sul caos”. Un ciclo criptico almeno quanto l’origine degli “sferici”, che lascia sospese nell’aria moltitudini di domande e suggestioni di cui la scrittura di Thomas Pynchon sembra cibarsi con avidità. Anche per questo La storia di Mondaugen non è solo la parte centrale di V. ma una sorta di repubblica di Weimar nell’Africa subtropicale: un presagio, ancora adesso, ovvero un secolo dopo, “terrificante ma necessario”, per dirlo con le parole di Thomas Pynchon. Per estensione, e per comprenderne la dimensione visionaria, vale la pena di ricordare anche  l’incipit del capitolo successivo: “Sfortunatamente, bastano una scrivania e il necessario per scrivere per trasformare una stanza qualsiasi in un confessionale. Questo forse non ha nulla a che vedere con le nostre azioni e con i nostri mutevoli umori. Può darsi che la forma della stanza, un cubo, non abbia di per sé alcun potere di persuasione. La stanza si limita a essere. Occuparla, voler trovarvi una metafora per la memoria, è colpa nostra”. Più che un estratto di V., La storia di Mondaugen, è il nucleo di un capolavoro, è la tolda di un secondo Titanic prima dell’apocalisse, è il cuore di tenebra, l’infinita angoscia di un’umanità fottuta per sempre. 

Nessun commento:

Posta un commento