giovedì 2 dicembre 2010

Victor Gischler

Nelle paludi dove i Mudcrutch si sono formati, poi sciolti e poi ricostruiti, non c’è margine di trattativa. Un ambiente suburbano fatto di locali di infima categoria, (pessimi e pericolosi) rock’n’roll show (Tom Petty, appunto, si è costruito una reputazione laggiù), quartieri anonimi, bar dove la vita si ripete all’infinito. La distanza tra Gainesville e Orlando, Florida dove modelli diversi di bande (quelle di Victor Gischler) affilano ben altra esperienza si misura in un paio di centinaia di chilometri, ma si tratta pur sempre della stessa, disperata geografia. L’humus ideale in cui Charlie Swift, protagonista della Gabbia delle scimmie, deve far fronte ad un travolgente susseguirsi di inganni, errori e altri misfatti che portano, neanche a dirlo, lui e tutti i disperati come lui a trovarsi dalla parte sbagliata di una pistola. In realtà non è nemmeno facile capire quale sia quella giusta anche se Charlie Swift detto anche il Sarto rimane fedele fino in fondo al suo boss e alla sua limitatissima visione dell’esistenza e del “lavoro”: “Ero abituato a lavorare con una certa professionalità, io. Forse per questo preferivo lavorare da solo. O forse era perché non mi piaceva la gente”. È il capitano che affonda con la nave e rimane in prima linea fino all’ultimo cadavere, sempre nella speranza che non sia il suo, ma la sua coerenza è unica e, agli occhi di tutti gli altri, anche fuori posto. La trama è spessa e contorta proprio perché tra doppi e tripli giochi, agenti infiltrati e traditori, pasticci e impiastri vari (come ricorda qualcuno: “il marcio è dappertutto”) è difficile tenere il conto, ma a tutti gli effetti non è neanche necessario. Charlie Swift deve far sparire una persona e per un veterano del suo calibro dovrebbe essere ordinaria amministrazione. Però si dimentica qualcosa, o forse è troppo tempo che fa lo stesso lavoro e la storia comincia a prendere una piega imprevedibile e piena di incognite: le armi si accendono e non si spengono più. Già dopo le prime pagine ci si trova invischiati in una lunga teoria di omicidi, sparatorie, torture, tutto il vocabolario più efferato delle gang malavitose e quindi si va giù duro con pistole e fucili sempre caldi e abbondanti, che Victor Gischler descrive e maneggia con cognizione di causa in calibri, manovre e (devastanti) effetti finali. Non si tratta di un elemento secondario perché come ama dire Charlie Swift, se c’è qualcosa di importante sono “i dettagli. Questo distingue i professionisti dai coglioni qualunque. I dettagli”. Nella Gabbia delle scimmie è difficile trovarne uno fuori posto, tanto che, più che un romanzo, sembra già un film: frulla fotogrammi di Sam Peckinpah, Martin Scorsese e Quentin Tarantino in un’ipotetica  e passionale carrellata sulla storia dei gangster movie. Univoco in questo senso perché il ritmo forsennato non risparmia nessuno, inchioda il lettore alle pagine dall'inizio alla fine non concede lo spazio per altre considerazioni, nemmeno per rifiniture di stile o deviazioni di percorso. Una macchina infernale che stritola tutti i cliché e i luoghi comuni delle storie noir e/o hard boiled in una centrifuga che funziona a pura adrenalina. Come se già fosse un film.

 

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