martedì 8 giugno 2010

Colum McCann

C'è una scena atroce, nelle prime pagine abitate dai Figli del buio, che non lascia dubbi sulla natura e sull'essenza stessa di questo romanzo: agli inizi del secolo scorso, una squadra di operai che sta lavorando nel ventre di New York viene risucchiata da un vuoto d'aria e proiettata, con conseguenze immaginabili, nell'Hudson, il fiume che per Brooklyn è già oceano. Episodio (storico) già raccontato altrove da E.L. Doctorow, ma che nel romanzo di Colum McCann, classe 1965, origini irlandesi evidentissime, residenza a New York, affiora come una parabola biblica da cui poi si dipana una complessa saga famigliare. Le radici dell’albero genealogico dei Figli del buio affondano in una città, New York, che era soltanto un porto d'arrivo per tutti gli immigranti del mondo e non quella realtà cosmopolita (con tutte le sue ombre e luci) di oggi. E’ in uno scenario di infinita povertà, che si sviluppa la storia della famiglia Walker, che arriva fino ai nostri giorni con Clarence Nathan detto anche Treefrog. Tutti gli altri dettagli è meglio scoprirli direttamente dalla lettura di I figli del buio che del resto è agevole e ricca: Colum McCann è un narratore già molto maturo a cui non servono effetti speciali o particolari deformazioni linguistiche per attirare l'attenzione. Sono la costruzione della storia, le ossessioni dei suoi personaggi, il paesaggio metropolitano (visto sotto e sopra) a creare quel duraturo rapporto di fiducia che distingue la lettura di I figli del buio. Di più, l’odissea famigliare degli Walker interpreta l'umore di una povertà endemica e scandaglia i bassifondi, non solo perché Treefrog vive negli anfratti di New York ma perché, metaforicamente, tutta un'altra società è emarginata in quei gironi danteschi. Finalmente, quindi, uno scrittore giovane che non racconta le sue prime pulsioni adolescenziali, il suo diario sgrammaticato o i programmi che vedeva in televisione con la mamma e il papà, ma quella metà oscura del nostro mondo che in pochi provano a riconoscere. Colum McCann non non si trastulla con effetti e macabre descrizioni, ma va subito al sodo, descrivendo l'ambiente (storico e sociale) con lucidità e con cognizione di causa. Attraversa tutto un secolo di storia americana (o più precisamente: newyorchese): parte sempre dai bassifondi (o ancora più in giù, come si è visto) e attraversando il tempo e il complesso tessuto etnico di New York ricostruisce un quartiere, una città, un mondo guardando dal basso e ivi restandoci. Lo slogan dei Figli del buio infatti è: "Si viene al mondo con niente e lo si lascia con ancora meno". Non a caso Treefrog è il nipote di Nathan Walker (uno degli operai coinvolti nell'incidente sotterraneo) è, e siamo arrivati ai nostri giorni, un homeless che vive esattamente nelle stesse gallerie scavate a costo della propria vita dal nonno e dai suoi colleghi. Tra questi due estremi generazionali si svolge tutta la storia dei Figli del buio che Colum McCann narra con un linguaggio semplice ed accorto nello stesso tempo e con il gusto della precisione storica che collima con l'invenzione letteraria, la fiction. Ed è una sorpresa, in fondo: in tempi di grandi nulla, di generazioni incognite, di non scrittori e di scrittori abulici, ecco un narratore che ha il coraggio di scavare nella (propria) storia per cavarne uno grande romanzo blue collar. D'accordo, il termine è più adatto al rock'n'roll, ma a certe profondità le darkness on the edge of town sono uguali per tutti e già il coraggio di raccontarle merita tutta l'ammirazione possibile.

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