lunedì 25 settembre 2017

Lawrence Ferlinghetti

L’eco di Coney Island Of The Mind è sempre forte e qui si trasforma quasi in una chiamata del destino. A distanza di trent’anni, Un luna park del cuore torna a ricordarci che “il presente è un accidente che si protrae e si protrae nel futuro” e le poesie sono istantanee che rubano il tempo. E’ il 1997 e le allegorie di Lawrence Ferlinghetti lo conducono verso le proprie radici “e avendo perso il senso del posto da cui provenivo, con l’amnesia dell’immigrante percorsi in lungo e in largo la faccia estroversa dell’America, ma non importa dove abbia vagato, fuori da ogni mappa, ancora mi piacerebbe ritrovare quel posto perso, dove potrei salire un’altra volta su un metrò domenicale per chissà quale Far Rockaway del cuore”. Il ritorno è reale, oltre che poetico, come annoterà negli Appunti di diario, New York, 2 marzo 1997, poi raccolti in Scrivendo sulla strada: “Sul mio certificato di nascita c’è scritto 106, Saratoga Avenue Yonkers... Prendo il treno fino alla 168ª strada, poi l’uno e continuo sulla sopraelevata fino a Van Cortlandt Park, poi un autobus fino a South Yonkers. E’ solo un miglio, o poco più, lungo il lato ovest del parco fino a Caryl Avenue. Scendo lì, seguendo il vago consiglio dell’autista nero che indica gesticolando la direzione in cui pensa possa essere Saratoga Avenue... E allora un miglio a piedi in salita, oltre isolati di condomini con i propri giorni migliori alle spalle. Ed ecco la fine di Saratoga Avenue, con un negozietto a conduzione familiare. Ne esce un vecchio bianco con una bottiglia in un sacchetto di carta. Mi attraverso con lo sguardo come se fossi parte della strada e fossi lì da sempre. (Forse è così)”. Nel clima crepuscolare di fin de siècle, Lawrence Ferlinghetti affronta “la febbre dell’efferata vita di città” ed è come se “nell’alluvione degli anni” lo stupore fosse rimasto intatto con “il sogno immenso” sopravvissuto all’esilio. Il luna park del cuore si accende ancora una volta, i versi sgorgano (“Tutte le persone della tua vita in una casa di notte luci tutte accese come un transatlantico in alto mare”) “e ogni poesia e ogni quadro una sorpresa stimolante per occhio e cuore, qualcosa che ti sveglia di colpo dal sonno immemore del vivere in un lampo di epifania pura in cui tutto è immobile in luce adamantina, fissato, rivelato, per ciò che davvero è in tutto il suo mistero”. Non ci sono solo luminarie e fuochi d’artificio: è anche un momento di riflessione perché Lawrence Ferlinghetti ha ormai un’età in cui “era troppo tardi per farci nulla tranne crederci o dubitarne” e sa che “il poeta scandagliando l’ignoto come un peschereccio d’alto mare va a pesca di immagini primigenie con reti di parole per catturare l’ultima lingua franca in libertà il pesce cieco del destino dell’uomo”. Lo fa anche con la certezza, per niente scoraggiante, che “intanto l’acqua fluisce e canta fra le chiuse della vita quotidiana”: è una maturità che non toglie nulla allo spirito (indomito) di Lawrence Ferlinghetti e Il luna park del cuore è anche l’occasione per ricordare che “il mondo non sta per finire per mancanza di luce” e “comunque la storia non è in realtà storia fino a quando non è riscritta”. Lo sguardo a est vede solo l’oceano, a ovest la strada, e in mezzo resta “un attimo di silenzio, e un attimo di epifania, un attimo di estasi, un attimo di follia, e un attimo di silenzio”, un luna park che non si ferma mai.

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