lunedì 9 marzo 2015

Colum McCann

In volo sopra l’Atlantico, un aereo di legno e di tela accompagna una lettera verso la fine di un’epoca, e l’inizio di un’altra, “la distanza finalmente annullata”. La minuscola corrispondenza è il misterioso elemento di un viaggio nel ventesimo secolo che ondeggia avanti e indietro, risale al 1845 e arriva fino ai nostri giorni ed è punteggiato dagli incontri e dagli incroci nel tempo e nello spazio, lungo le coste tra America e Irlanda, tra fiction e realtà, perché “le nostre vite sono spesso catapultate all’interno di lunghe orbite migratorie”. Questi tracciati s’intersecano con gli eventi e i personaggi storici, che vedono, tra i più importanti, il viaggio di Frederick Douglass in un’Irlanda povera e buia e gli sforzi di George Mitchell nel processo che portò all’accordo del venerdì di Pasqua nel 1998. Per la prima volta nella sua vita, Frederick Douglass venne trattato “non come un colore, ma come un uomo”, solo che deve confrontarsi con la miseria e la carestia prodotte da quell’occupazione che Colum McCann definisce “autocolonialismo”. Un fantasma che riappare più di cent’anni dopo, quando George Mitchell, “man of peace” americano insiste con “la necessità di non smettere mai e poi mai di ripetere ciò che è già stato detto”, fino alla firma degli accordi. Le contraddizioni del “secolo breve”, “come le nostre vite vengono intrecciate dalle guerre, così il mistero ci tiene uniti”, dai due conflitti mondiali alla secessione americana ai “troubles” irlandesi si riflettono nella vita di una folla di personaggi il cui unico sogno è “giungere a destinazione”, ma devono scontrarsi con gli eventi storici che cadono dal cielo come una pioggia inaspettata, nonchè con “il mondo intero in costante movimento. Sempre di fretta. Le leggi ineluttabili della nostra autoimportanza. In quanti siamo lassù in questo esatto istante? A guardarci dall’alto, sparpagliati nel confuso e sfocato panorama qui in basso? Che strano osservarsi riflesso nel vetro, quasi fosse contemporaneamente dentro e fuori. Il ragazzino che osserva l’uomo ridiventato padre sorpreso tanto per cominciare di essere lì. La vita, e il suo talento nel distribuire gli imprevisti sempre che nulla giunga mai a compimento”. Colum McCann è uno scrittore che ha un suo particolare tatto, ormai riconoscibile, nel trattare temi esplosivi. E’ una specie di artificiere della parola e del racconto che sa disinnescare e rendere agibili anche le contorsioni più pericolose perché “è sempre una grossa tentazione, raccogliere la schiuma che nottetempo si è formata sul mondo: quale sommossa ha scosso la città, quale elezione è stata truccata, quale povero barman si è ritrovato a spazzare sui cadaveri”. Così, proprio come la busta che ha solcato l’Atlantico rimane un messaggio nascosto al riparo delle guerre per un secolo, TransAtlantic resta sospeso tra una sponda e l’altra, naviga a vista e Colum McCann è sorpreso, più di tutto, per “come il linguaggio a volte ci diserti, per come il futuro riservi domande che dovevano essere poste in passato, per come le parole ci possano sfuggire così facilmente, abbandonandoci lì, alla loro ricerca”. L’interrogativo trova una sua definizione nella sfumatura finale di TransAtlantic, crepuscolare e non priva di una sua delicatezza: è un piccola via d’uscita e insieme una coda enigmatica per un bel romanzo, con uno stile semplice e diretto, per quanto non allineato nelle questioni che lascia lì, tra un cielo e un mare che sembrano specchiarsi l’uno nell’altro.

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