lunedì 30 marzo 2015

Allan Gurganus

Non abbiate paura comincia proprio come finisce, un ciclo che si svolge tutto nei contorni di una cittadina, o meglio, davanti al palco di una recita scolastica. Allan Gurganus in person è in platea con l’amica Jemma ed è lei che lo introduce alla storia della coppia seduta accanto a loro. A sua volta, è come se mettesse la scena di fronte al lettore: la rappresentazione è lì, plastica, in tutta evidenza, senza via di scampo. La capacità di Allan Gurganus di vederla, nel suo insieme, e di mostrarla, è il vero segreto di Non abbiate paura: va letto come un lungo piano sequenza che parte da un incidente su un lago del North Carolina e sconvolge l’esistenza di una ragazza costretta, dopo la perdita del padre, a dare in adozione il figlio. Il lettore rimane inchiodato lì a fissare il proscenio mentre i personaggi (che sono sempre gli stessi) mutano davanti ai suoi occhi. Un sottile rivolo sotteraneo scorre incestuoso, come se la famiglia (un’idea piuttosto aleatoria di famiglia) fosse autoreferente e autoindulgente, mentre la ragazza, figlia e madre nello stesso tempo, assume le sembianze di Nonabbiatepaura e a quel punto, con un nome che coincide con il titolo, decide di diventare protagonista e di andare alla ricerca del figlio perduto. Allan Gurganus non nasconde che “le stesse storie travolgenti delle tragedie greche si consumano in qualche traversa delle nostre cittadine dove si pagano le tasse” e ci spolvera sopra quel tanto di modernità digitale da rendere Non abbiate paura realistico e credibile. L’incrocio nella rete, in un mondo invisibile più che virtuale, la ricerca l’uno dell’altra attraverso documenti sepolti nel tempo, ormai inutili (ai più) e invece tracce di un passato che non passa mai, di un passato comune, di qualcosa che rimane, celebra un legame tra madre e figlio, tra figlio e madre, che supera le barriere del tempo, delle convenzioni, delle distanze e persino della stessa famiglia, e si materializza attraverso una percezione extrasensoriale. Il paradosso è l’anima della storia di Non abbiate paura, e per estensione di tutti i suoi personaggi, destinati a entrare “in un tempo in cui gli anni rubati finalmente si sublimavano in particolati, restituendo loro istanti veri, usabili”. Come utilizzare quei dettagli è anche l’ossessione di Allan Gurganus che è “già a immaginare centinaia di modi in cui si potrebbe raccontare a qualcuno una simile saga. Così tanti interrogativi nascosti. Prima devi mettere insieme i fatti certi. Una volta afferrati, ti possono offrire un nuovo modo di vedere le cose. Dopo esserti documentato, ti ci devi addentrare con la fantasia, cogliere almeno una frazione del prezzo e del premio”. I passaggi essenziali, alla fine, sono due: “Per essere capita e ascoltata, una storia dev’essere prima raccontata” dice con convinzione Allan Gurganus e sembra una banalità, ma è proprio il senso, molto istruttivo di Non abbiate paura perché poi “invece di disapprovare, qualcuno potrebbe decidere, se ci riesce, di cercare di amare tutta questa materia viva”. Ecco, Allan Gurganus ha seguito il consiglio di Anton Čechov (“Fidati dell’abbondanza, e basta”) e ha scelto un modo curioso, un insolito punto di partenza e di osservazione, ma da lì in avanti è tutto in discesa. Notevole.

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