giovedì 19 giugno 2014

Mark Strand

Anche nelle forme antologiche, ovvero quelle con cui è stato composto L’inizio di una sedia, Mark Strand riece a trasmettere il senso compiuto di un’identità forte, netta, mai compromessa, perché le sue poesie “sono al di là delle distorsioni del caso, oltre le evasioni della musica”. La singolare distinzione è utile a comprendere il linguaggio che anima L’inizio di una sedia, pur tenendo presente la sua composita natura. Mark Strand dissemina dettagli a ritmo serrato ed è un fiorire continuo di richiami, di angoli nascosti e di scoperte. E’ un gioco di specchi con la realtà, con i piccoli particolari domestici o atmosferici che si rimbalzano con i riferimenti universali e filosofici, un legame che si allunga e si restringe come una molla, attraverso un uso fantastico delle parole. E’ Una suite di apparenze che comincia proprio da una minuscola annotazione notturna. Eccentrica e rivelatoria, come spesso, se non proprio sempre, sono le liriche di Mark Strand: “Nessuna meraviglia che il giornale della sera non sia letto, nessuna meraviglia che ciò è accaduto, prima di stasera, la storia di noi stessi, ci lasci freddi”. La selezione è importante e contiene almeno due poesie di Mark Strand che lo rappresentano senza margine di errore, un paio di biglietti da visita che illuminato tutto L’inizio di una sedia. La vita ininterrotta riparte proprio da quelle “incombenze domestiche” che Mark Strand sa leggere, tradurre e trasformare come nessun altro: “Dite ai bambini di rientrare, che continuate a cercare qualcosa che avete perso, un nome, un album di famiglia caduto dalla propria irrilevanza in un’altra, un pezzo di buio che sarebbe potuto esser vostro, che non conoscete davvero. Dite che ciascuno di voi cerca di impegnarsi ad imparare ad abbassarsi a udire il respiro spontaneo della terra a sentirne il disponibile languore sommergervi, onda su onda, e inviare minuscoli fremiti d’amore attraverso i nostri brevi, irrefutabili sé, dentro i nostri giorni, e oltre”. Il tema ricorrente del tempo è l’altro snodo principale della poesia di Mark Strand e Il tempo a venire lo rivela così: “Il tempo ci scivola accanto; i nostri dispiaceri non si fanno poesie, e l’invisibile rimane tale. Il desiderio è svanito, ha lasciato solo una traccia di profumo sulla scia, e così tante persone amate se ne sono andate, e non c’è voce che giunga dallo spazio, dalle spire di polvere, dai tappeti di vento a dirci che così è che doveva accadere, che se solo sapessimo quanto le rovine vivranno non ci lamenteremmo mai”. Stupisce sempre la proprietà con cui Mark Strand ammaestra le parole, l’abilità da giocoliere che riesce a mantenere in equilibrio gli estremi del’infinito e dell’infitesimale e nello stesso tempo la naturalezza con cui è arrivato alla poesia che, nella postfazione a L’inizio di una sedia, spiega così: “Non fu un processo voluto. A un certo punto mi sembrò che mi fossi svegliato… E scrivevo poesia. Non credo che si giunga in modo razionale a queste ossessioni che durano una vita". Dovesse servire a scoprire Mark Strand, è un bell'inizio.

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