mercoledì 23 aprile 2014

James Baldwin

Negli Appunti americani sono raccolti i saggi che hanno reso nota la lucidità dell’analisi e l’efficacia dello stile di James Baldwin. Sulla carta, almeno all’anagrafe, è passato mezzo secolo, eppure questi pensieri sono sempre attualissimi. L’ossessione per l’essere americani e afroamericani nello stesso stempo è sviluppata secondo coordinate multiple e poliedriche, e senza fare sconti perché come scrive James Baldwin, “diventare un americano comincia dal momento in cui si rifiutano tutti gli altri legami, qualsiasi altra storia, e si adotta la veste della terra che ci ha adottato. Questo problema si è posto a tutti gli americani durante la nostra storia, in un certo senso è la nostra storia, e sconcerta l’immigrante e rende insicura la seconda generazione, a tutt’oggi”. La complessità degli Appunti americani deriva dalla sua scrupolosa natura, fitta di toni e note polemici che non risparmiano nessuno. A scanso di equivoci e un po’ come indispensabile premessa, James Baldwin precisa che “tuttavia, le questioni sociali non sono in genere il pensiero primo dello scrittore, che sia giusto o no; è assolutamente necessario che egli stabilisca fra sé e quelle questioni una distanza che gli permetta, come minimo, chiarezza, così che prima di poter guardare avanti in un modo che abbia un qualche senso, gli deve essere prima permesso di rivolgere un lungo sguardo all’indietro”. Partendo dal blues, dal gospel, dagli spiritual e insistendo poi sull’onda autobiografica tra Parigi e New York, nell’articolazione degli Appunti americani, James Baldwin insegue la chimera di un’identità e ne ammette l’incosistenza in un passo che suona come una confessione: “Ciò che è accaduto, nel corso della mia vita, ricapitola quanto è accaduto ai miei antenati. Nessuna promessa fu mantenuta con loro, nessuna promessa è stata mantenuta con me, né posso consigliare a coloro che verranno dopo di me, né ai mia consanguinei nel mondo, di credere a una sola parola pronunciata dai miei connazionali moralmente falliti e disperatamente disonesti”. La scrittura non è soltanto lo strumento per fissare e rileggere le circostanze, la storia, perché “si scrive solamente in base a una cosa, la propria esperienza”, ma anche il modo per rispondere a quello che James Baldwin chiama “l’unico vero dovere dell’artista: ricreare dal disordine della vita quell’ordine che è l’arte”. Wole Soynka scrisse che James Baldwin era troppo affascinato “dalle ambiguità delle scelte morali nei rapporti umani per pensarle in crudi termini conflittuali” e gli Appunti americani non fanno altro che confermare l’ampiezza di quel pensiero perché “in sostanza è vero, l’apparenza cambia in continuazione, con ogni generazione che accoglie con esultanza effimera le aggiunte sempre più abbaglianti alla nostra famosa facciata. Ma il ghetto, l’ansia, l’amarezza e la colpa continuano ad alimentare un indescrivibile complesso di tensioni. Ciò che il tempo porterà agli americani sarà finalmente la loro identità”. In un altro mondo, sarebbe un libro di testo, obbligatorio.

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