domenica 3 marzo 2013

Charles Bukowski

Quando uscì Factotum uno dei suoi fans più accaniti e convinti, Tom Waits, colse al volo l’occasione per descrivere Charles Bukowski così:  “E’ probabilmente uno degli scrittori più vivaci e importanti di fiction, poesia e prosa contemporanea. Per me sta in prima posizione; mi fa sentire a posto”. Questa complicità diventa una componente naturale, quasi obbligatoria quando si legge Bukowski alias Chinaski in Factotum perché il suo è un sacrosanto sberleffo alla cosiddetta civiltà borghese e benpensante: passa da un lavoro all’altro come un’irriverente falena impazzita che schizza da una luce all’altra ed è evidente che dei lavori in sé non gliene può importare di meno. I suoi interessi sono radunati e circoscritti in un trittico inespugnabile: bere, scopare, scrivere, e non necessariamente in questo ordine. L’identità di Henry Chinaski è tale che non può essere scalfita nemmeno in modo superficiale dai disordinati tentativi di trovarsi un lavoro qualsiasi: li prende e li tiene quanto basta per raccogliere qualche spicciolo e poi dedicarsi agli scopi di cui sopra. Finito il gruzzolo, si ricomincia daccapo Un metodo piuttosto primitivo che Chinaski ammette in modo candido: “Mi comportavo così per istinto più che altro. Cominciavo sempre un lavoro con la sensazione che l’avrei lasciato presto o sarei stato licenziato, e questo mi conferiva un modo di fare rilassato che veniva scambiato per intelligenza o consapevolezza di avere qualche asso nella manica”. Nel suo curriculum (si fa per dire) i lavori migliori sono quelli “umili”, la normalità è formata da una lunga teoria di quelli “infimi”, a cui va spesso aggiunta una nota alterata e pittoresca. E’ una costante, in Factotum, che serve  a Bukowski per svelare l’anima del suo pensiero. La vera necessità non è il lavoro e, parole sue, “ecco di cosa aveva bisogno un uomo: speranza. Era l’assenza di speranza a scoraggiare un uomo. Ricordai i giorni di New Orleans, quando mangiavo solo due tavolette di cioccolata da cinque cents al giorno per aver tempo di scrivere. Ma purtroppo morir di fame non faceva diventare veri artisti. Anzi. L’anima dell’uomo ha radici nello stomaco. Chiunque scrive molto meglio dopo una bistecca di manzo e una pinta di whiskey che non dopo una tavoletta di cioccolata da cinque cents”. Nella scrittura, Chinaski prova a ripristinare il rubinetto rotto del suo destino e cerca di rileggere la sua disordinata vita non tanto come un’esperienza bohemienne, piuttosto come l’espressione  dell’estrema coerenza di uno stile. Unico nell’inventarsi anche una vendetta in fondo alla deprimente trafila dei rifiuti: i racconti che manda alle riviste gli tornano indietro tutti, senza tanti complimenti, fino a quando non gliene viene accettato uno. Lo scrittore qualsiasi avrebbe festeggiato brindando. A Chinaski, che vive con il bicchiere in mano, basta il tripudio del titolo: La mia anima strafogata di birra è più triste di tutti gli alberi di Natale morti nel mondo. “Spettacolare”, parola di Tom Waits, uno di cui ci si può fidare.

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