martedì 19 giugno 2012

Richard Ford

C’è sempre una porta socchiusa nella vita di Frank Bascombe. Non c’è mai nulla di esplicito, di eclatante, di decisivo. Frank Bascombe prede la vita in modo sportivo, gli potrebbe bastare un pareggio, in sostanza, e non è che cerchi molto di più perché “quello che tutti desideriamo davvero è giungere al punto in cui il passato non può dare alcuna spiegazione su di noi, che così siamo liberi, finalmente, di costruirci la nostra vita”. I suoi tentativi di scendere a patti con quella cosa chiamata vita sono ammirevoli e la ricostruzione delle sua psicologia, dei suoi sentimenti, di quella filosofia spicciola di cui si nutre lui e Sportswriter sono ricostruiti da Richard Ford in modo così accurato da farlo diventare protagonista di una trilogia. Le riflessioni di Frank Bascombe, la sua continua introspezione, il suo mood quotidiano alimentano una filosofia della riduzione del danno in campo sentimentale ed emotivo destinata a maturare molte sconfitte e, al massimo, a intravedere “un futuro ordinario”, che sarebbe già una grande conquista. La vicinanza alla realtà di Sportswriter è il suo elemento migliore perché come scrive Richard Ford attraverso Frank Bascombe “la nostra vita, in realtà, non mai una vita normale, non c’è niente di ordinario nei nostri successi o nei nostri disastri. Tutto è più problematico della geometria, quando a essere in questione sono dei fatti di cuore. La vita di un uomo può semplicemente cambiare così, come cambia il tempo, e dopo il sole, come si dice, viene la pioggia. Ma può cambiare di nuovo”. E’ lì che l’intervento dello scrittore, l’imperativo dell’anticipazione, quello che Richard Ford chiama “il dolce dolore di chi sa cosa verrà dopo” diventa il tema coerente e costante di Sportswriter, il tono stesso con cui entrambi, l’autore e il suo alter ego, sbirciano nel mistero, ovvero “l’affascinante condizione di una cosa (un oggetto, un’azione, una persona) quando se ne sa qualcosa, ma non tutto. E’ la promessa contorta di qualcosa (effetti, connessioni, sospetti) di sconosciuto, che bisogna aver la saggezza di non esplorare troppo a fondo, per non finire nel vicolo cieco dei puri fatti”. Richard Ford, a costo di apparire patetico, o almeno, senza la paura di apparire patetico, mette in evidenza il disorientamento, le perplessità, i dubbi con un tono quasi confessionale quando dice che “in un certo senso, suppongo, si potrebbe dire che ci sentivamo (e ci sentiamo) tutti sperduti e cercavano di porre rimedio a questo stato di smarrimento come meglio potevamo, con il massimo di buone maniere e il minimo di curiosità. E forse l’unico motivo per cui non la smettiamo è che non riusciamo a trovare un motivo decisivo per smetterla. Quando ne troveremo uno, smetteremo di certo. E, per me, può succedere da un momento all’altro”. Alla fine, non c’è molto altro, e Sporswriter, in prospettiva, suona molto meno compassionevole e più chiaro di quanto sembri: per dirla con Frank Bascombe, affronta il rimpianto, evita la rovina e non c’è molto di più, se non la forza del racconto, che è tutto.

2 commenti:

  1. Letto in giorni in cui le mode letterarie spingevano altrove. Forse adesso, con le celebrazioni della fine della postmodernità, questo capolavoro verrà ulteriormente rivalutato.
    Complimenti per lo splendido blog.

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