lunedì 10 ottobre 2011

Jack Kerouac

Viaggiatore solitario assembla racconti di molte odissee, il più delle volte in “un’America senza fine” e quasi sempre immaginando altri percorsi, senza badare alle destinazioni o alle spese, visto che Jack Kerouac dice: “Avevo risparmiato su ogni centesimo e poi all’improvviso decisi di sperperare tutti i risparmi in un grande glorioso viaggio in Europa o in qualsiasi altro posto, e mi sentivo leggero e contento, anche”. Nella sua varietà, Viaggiatore solitario è un vecchio bagaglio inesplorato che contiene una moltitudine di ritratti, come la lunga e splendida definizione di hobo, forse la più pittoresca e pertinente in assoluto: “L’hobo è figlio dell’orgoglio, non ha niente da spartire con la comunità ma solo con se stesso, gli altri hobos e forse un cane. Gli hobos vicino alle banchine ferroviarie di notte si preparano enormi latte di caffè. Orgoglio era la via che l’hobo percorreva nelle città vicino alle porte di servizio dove, sui davanzali delle finestre, si stavano raffreddando le torte, l’hobo era un lebbroso mentale, non aveva bisogno di mendicare per mangiare, forti ossute madri del West riconoscevano la sua barba tintinnante e la toga stracciata, vieni e serviti!”, ed è soltanto una piccola parte delle riflessioni elargite da un  Jack Kerouac saggio & maturo. La strada rimane la via principale (“Sulla strada è di nuovo tutto perfetto, il mondo è permeato di rose di felicità, ma nessuno di noi lo sa. La felicità consiste nel capire che tutto ciò è un grande sogno strano”), ma c’è molta disobbedienza e c’è molto Walden in questo Viaggiatore solitario in modo implicito (quando dice: “Dopo tutto ‘sto casino, e via dicendo, arrivati al punto che avevo bisogno di un po’ di solitudine proprio per fermare il meccanismo di pensare e godere che chiamano vita; avevo bisogno di stendermi sull’erba e guardare le nuvole”) o più esplicito quando confessa l’aspirazione di “vivere in solitudine nei boschi, tranquilla scrittura della vecchiaia, dolci speranze di paradiso (che in ogni caso arriva per tutti)”. Non è tutto perché il fine si nasconde in “una confusione di vita così come è stata vissuta da un indipendente educato senza una lira scapestrato che va dovunque. Lo scopo e l’intenzione è semplicemente la poesia, o, le descrizioni naturali” dove il racconto diventa meraviglia per il jazz, e ancora per la strada e per la vita consumata senza timori, nell’entusiasmo di mille follie e di un’infinità di “espedienti d’emergenza e idee personali. Tra le descrizioni del Viaggiatore solitario va annoverata anche quella autobiografica, poche righe che Jack Kerouac butta lì, per raccontare tutta la sua storia: “Ho sempre considerato lo scrivere il mio dovere. Oltre la predicazione della gentilezza universale, di cui gli isterici critici non si sono accorti, presi come erano a parlare della frenetica attività dei miei romanzi veritieri sulla Beat Generation. Attualmente non sono beat ma uno strano solitario pazzo mistico cattolico”. E’ un frammento, è perfetto.

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