lunedì 7 febbraio 2011

Charles Bukowski

La raccolta di racconti A sud di nessun nord, insieme alla ristampa Taccuino di un vecchio sporcaccione (che gli fruttò diecimila dollari di anticipo dalla City Lights) segnò una prima, importante svolta nella carriera di Charles Bukowski. L'outsider, incomprensibile e scorbutico, cominciava ad essere riconosciuto per uno stile, disordinato e iconoclasta finché si vuole, ma comunque unico. Nonostante tutto (le letture pubbliche sempre più affollate, gli assegni, le proposte editoriali) il Buk, come ribadirà spesso e volentieri, con una coerenza immacolata, insisteva nel posizionarsi ai margini della società, come scriveva in Un vero uomo, uno dei racconti più intensi e incisivi di A sud di nessun nord: “Come può dirvi chiunque, io non sono un brav'uomo. E' una parola che non conosco. Ho sempre ammirato il cattivo, il fuorilegge, il figlio di puttana. Non mi piacciono i bravi ragazzi coi capelli corti la cravatta e il buon posto. Mi piacciono gli uomini disperati, gli uomini con i dentri rotti e il cervello rotto, gli uomini che si sono rotti. Mi interessano. Sono pieni di sorprese e di esplosioni. Mi piacciono anche le donnacce, puttane ubriache con la bocca piena di bestemmie con le calze molli e la faccia stravolta dal mascara. Mi interessano di più i pervertiti che i santi. Con i barboni riesco a rilassarmi perché sono anch'io un barbone. Non mi piacciono le leggi, la morale, le religioni, le regole. Non mi piace farmi plasmare dalla società”. Come lui, tutta la progenie picaresca dei suoi personaggi colti in quelle zone crepuscolari dell'esistenza dove è difficile capire, per usare parole sue, dove è andata storta e dove è andata diritta. Sempre inchiodati ai marciapiedi o a lavori impossibili in cui “ci si stancava e veniva voglia di smettere e poi ci si stancava tanto che ci si dimenticava di smettere, e i minuti non finivano mai e si viveva in eterno dentro un minuto, senza speranza, senza via d’uscita, intrappolati, troppo stravolti per smettere e senza un posto dove andare se si smetteva”. Date queste coordinate, ogni racconto è un microcosmo a sé dove il caso e la storia si abbracciano in modo caotico nello sproloquio della scrittura di Charles Bukoswki che ammetteva, con il suo tipico e onesto candore di avere il “il cervello in tumulto contro la vita e il destino”. Il particolare e personalissimo flusso di coscienza dei racconti di A sud di nessun nord trova un’eccezione tragicomica con Storia di una bandiera viet cong dove l'ineffabile Buk, raccontando uno stupro, in un colpo solo mette alla gogna tutta la cultura hippie. Ricordando comunque che, come tutti, anche il loro destino era accettare e subire il volto di una nazione, detto con le parole del Buk, “cazzi acidi, come si suol dire, questa è l'America. Non volevamo molto ma non riuscivamo ad avere nemmeno il poco che volevamo. Cazzi acidi”. Senza cattiveria, e con il solito ghigno divertito stampato in faccia, A sud di nessun nord è l’apologia del fuorilegge e una bussola per tutti gli outsider. 

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