domenica 20 febbraio 2011

James Jones

Nell’erba di Guadalcanal, una delle più sanguinose battaglie della seconda guerra mondiale, i soldati si trovano di fronte a nemico nascosto nella florida natura tropicale. Di fatto è invisibile e agli uomini a cui è stato ordinato di stanarli non resta che salire sulle colline, una dopo l’altra, passo dopo passo, per andare incontro alla propria morte e per portarla al nemico. L’attacco frontale voluto dal comandante americano si rivela un massacro e solo la disobbedienza di un ufficiale permetterà di conquistare le posizioni giapponesi, dove i soldati riverseranno tutta la furia della vendetta. La guerra è una questione complicata e James Jones ne rappresenta una delle versioni più dettagliate che si conoscano. I particolari della vita quotidiana dei soldati incastrati nei tormenti della giungla che devono resistere a tutto per poi morire davanti a una mitragliatrice giapponese sono eloquenti nel ricostruire la devastante essenza della guerra. Dove non bastassero le elaborate descrizioni di James Jones ci pensano i soldati, in prima persona a spiegare una condizione agghiacciante: “C’erano troppe precauzioni da prendere. Un uomo non poteva badare a tutto per difendersi. Era tanto facile ammazzarsi per caso quanto essere uccisi dalla volontà del nemico”. James Jones va anche più in là, nel senso che scoperchia i risvolti psicologici di ogni soldato (quello che ha lasciato a casa, quello che perderà per sempre, quello che è già morto e non lo sa), i conflitti con ufficiali arroganti e indifferenti e un pezzo dopo l’altro prendere forma una visione completa dell’assurdità della vita militare che trova una sua ragione di essere, alla fine, nell’indispensabilità dell’eroismo. Come spiega senza tanti fronzoli anche uno dei protagonisti della Sottile linea rossa: “uno dei rischi della vita militare era che ogni vent’anni, puntuale come un orologio, quella parte della razza umana alla quale appartenevi, quali che fossero la sua politica o i suoi ideali nei riguardi dell’umanità, andava a impegolarsi in una guerra, e poteva toccarti di combatterla”. Come in ogni grande ritratto della guerra vissuta e vista da dentro, anche La sottile linea rossa traccia un perimetro molto chiaro tra realtà e fantasia in cui prende forma la guerra. Prima di tutto, c’è la realtà: “Era un’orribile visione: tutti facevano la stessa identica cosa, tutti incapaci di fermarla, tutti devotamente e fieramente convinti d’essere dei liberi individui. Si espandeva fino a includere un gran numero di nazioni, milioni di uomini, che facevano lo stesso su migliaia di colline in tutto il mondo. E non finiva lì. Continuava. Era il concetto, il concetto?, il fatto, la realtà, dello stato moderno in azione”. Poi c’è il comprensibile tentativo di sfuggirgli visto che “ognuno viveva secondo una finzione rigorosa. Nessuno, in realtà, era ciò che pretendeva di essere. Era come se ciascuno avesse inventato una storia su di sé, e poi fingesse con tutti di esserne il protagonista”. Un piccolo escamotage per chi non ha più difese e sa che là, in mezzo all’erba, lo aspetta l’inevitabile. 

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