lunedì 5 luglio 2010

Kent Harrington

Dìa De Los Muertos è uno dei più avvincenti romanzi ambientati sul border degli ultimi anni. Già il fatto di essere introdotto da una strofa di Volver Volver, un tradizionale notissimo a chi ha seguito fin dall'inizio la storia dei Los Lobos, dovrebbe bastare come biglietto da visita. In più, servono magari le parole dello stesso Kent Harrington che a proposito del libro ha detto: “Dìa De Los Muertos appartiene alla scuola dei romanzi di Jim Thompson: le cose vanno di male in peggio e arriva un colpo di scena, ma in più credo che abbia l'andamento di un film. Ho cercato di sposare cinema e romanzo". La trama sembra effettivamente la sceneggiatura standard per passare l'esame del corso di noir assoluto, relatori gli illustrissimi il già citato Jim Thompson (per l'assenza di vie d'uscita) e James Ellroy (per via di Tijuana Mon Amour): potete scoprirvela da soli, perché in Dìa De Los Muertos conta soprattutto il protagonista. Vincent Calhoun è un uomo roso dall'odio e dal desiderio, due sostanze apparentemente inconciliabili, ma che sul border, nel Dìa De Los Muertos, si fondono come la nitro con la glicerina. Dal canto suo, lui, un loser di primissima categoria, fa poco o nulla per disinnescare tutte le probabili esplosioni che incontra nel suo andare avanti e indietro sulla linea di fuoco del confine. Essendo un coyote (e qui bisogna andare a leggere e rileggere il significato di questa parola in Leggende del deserto americano di Alex Shoumatoff, che ne offre una definizione ben al di là della semplice connotazione zoologica) Vincent Calhoun ha un'esistenza parecchio complicata e il il carattere rocambolesco di Dìa De Los Muertos ne riporta magnificamente l'essenza con un ritmo serrato e avvincente da thriller, ma con un paesaggio da frontiera e una città, Tijuana, in cui “c'era gente con cui era preferibile non correre rischi”. Non si tratta soltanto di brutti ceffi o di stare dalla parte sbagliata. Dìa De Los Muertos prima o poi l'inganno viene a galla e si paga sempre perché “tutti mentiamo a noi stessi. Fa parte della vita. Mentre guidava Calhoun si raccontava bugie. Gli uomini da cui stava per farsi prestare soldi erano suoi nemici, e quando diceva a se stesso che erano soltanto strozzini mentiva. Sapeva che non era vero. Aveva giurato che non sarebbe mai venuto a farsi prestare soldi da El Cojo perché El Cojo era il più infimo di Tijuana e, in effetti, suo nemico, in quanto gestiva le pattuglie più cattive dei topi del deserto. Ma in Messico mentire a se stessi risulta più facile che altrove. E' un paese così, si disse”. Leggetelo con la colonna sonora del bellissimo Borderland di Tom Russell e vi sembrerà di essere nel mezzo di un film di Sam Peckinpah.

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