È l’inverno del 1958 e nel campus dell’università di Athené che per comodità faremo corrispondere a Ithaca, NY, torna Gnossos Pappadopoulis, dopo aver attraversato “i mari d’asfalto dell’immensa landa desolata”. Porta uno zaino sdrucito che è un vaso di Pandora e contiene, tra le diverse amenità, “un numero imprecisato di zampe di coniglio recentemente tagliate e messe sotto sale”. Tanto dovrebbe bastare a descrivere l’illustre personaggio, che ha la premura di presentarsi così, fin dall’incipit: “Eccomi, trombone e bugiardo, scarponi che scalpitano, la mente piena di progetti”. Subito mobilita una combriccola di sbandati con cui coltivare passioni più o meno legali, a partire dalle incursioni verso la castigata comunità femminile, con cui si sviluppa un attrito costante, per arrivare al reiterato rifiuto delle forme dell’accademia, senza particolari sforzi fisici o intellettuali perché “la vecchia inerzia è importante. Non sei sul punto di unirti a quella specie di merda”. Tra le altre gesta, Gnossos vive una fugace relazione con Pamela, foriera di un drammatico epilogo e un complesso fidanzamento con Kristin, la quale è tra le protagoniste della ribellione nel campus. Tra viaggi, allucinazioni, drammi e festicciole improvvisate prende forma una sorta di parafrasi beatnik dell’Odissea, costruita e condita con il ritmo di una suite jazzistica. Non solo per i nomi ricorrenti di John Coltrane, Charles Mingus, Charlie Parker, Dave Brubeck, Mose Allison e Miles Davis (all’inizio e alla fine), che comunque hanno una fondamentale importanza del definire la colonna sonora di Così giù che mi sembra di star su. È proprio una forma frenetica, esagerata, scoppiettante a condensarsi con uno stile tumultuoso con cui il romanzo acquista una sua forma, ben definita: quella di Richard Fariña è una voce colorita e selvaggia, tendente all’improvvisazione e alla divagazione e noncurante delle regole o della sintassi e alimentata con quelle prolusioni logorroiche ben riportate in un linguaggio fedele allo spirito del tempi. C’è, inevitabile, una componente surreale (che parte, con la citazione di Buddy Holly, fin dalle prime pagine) e parodistica, ma pare indispensabile a rendere efficace il racconto di uno spirito di tempi frementi e pulsanti. Lo dice anche Thomas Pynchon nell’introduzione a Così giù che mi sembra di star su: “L’umorismo cosmico risiede nei tentativi pasticcioni di Gnossos di raggiungere un accordo anzitempo con Thanatos, per trovare una specie di raggiro che lo tiri fuori dal contratto mortale nel quale siamo tutti intrappolati. Nessuno dei suoi tentativi funziona, ma ancor più buffo, egli è veramente troppo innamorato del suo essere vivo, con la droga, il sesso, il rock’n’roll. Si sente così bene da sentirsi obbligato a rischiare, a continuare a stuzzicare la morte, rendendosi conto solo in parte che più vive intensamente, più corre il rischio di vedere arrivare la sua ora”. Il ritratto, come non poteva essere altrimenti, è perfetto: nel suo caracollare Gnossos è al centro di una serie di triangolazioni vitali, che si tramandano attraverso “un sacco di simboli, di lati oscuri” verso “tempi migliori mai veramente conosciuti” con un chiacchiericcio caotico e cool che permette a Richard Fariña di sfoderare le sue armi più erudite così come un’insana passione per gli elenchi (compresi gli onnipresenti e singolari menù). Un flusso inarrestabile che può apparire abbagliante e fuorviante, ma che va assecondato, perché riporta alla luce l’evidenza di un’era, con tutte le buone e cattive vibrazioni del caso (nelle ultime è compreso anche il perfido finale). Senza dimenticare, nemmeno per un attimo, e nonostante la confusione e la promiscuità che prosperano in Così giù che mi sembra di star su, il senso ultimo di una ribellione a fronte di “ammassi di merda che si espandono all’esterno, nuova merda che nasce a un ritmo che consente la costante densità nello spazio. Singoli ammassi di merda mutano forma, si evolvono, ma l’intero sistema merdoso (visto oggettivamente) non muta affatto. Nessun inizio, nessuna fine. Ogni singolo pezzo di merda, sì; il sistema no”. Amen.
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