In un’intervista di qualche anno fa, Robert Coover spiegava come “le grandi metafore che sostengono i romanzi contengono il mondo: religione, sesso, famiglia, storia, politica”. Le fondamenta sono le stesse per i racconti, dove Robert Coover pare ancora più libero e incontrollabile nell’intraprendere direzioni inusitate e inesplorate giocando con la forma, il tono, i soggetti, i personaggi e le storie per elaborare una scrittura (e, di conseguenza, una lettura) che diventa un’esperienza unica. Le parole sono usate come frustate, implicano lo sforzo di confrontarsi con un’attitudine estrema che non fa concessioni e, di mutazione in mutazione, attraversa una gamma sterminata di soluzioni. L’assenza di punteggiatura che delinea Il fratello, ovvero la biblica storia dell’arca rivista e corrotta secondo Robert Coover, l’onomatopea in Punch, il rebus in Enigma (un racconto in realtà molto semplice e toccante), il gusto del paradosso in L’uomo invisibile (“Era solo invisibile, non immortale. Le sue viscere non erano invisibili, e nemmeno i suoi escrementi, il suo sangue. Una ferita senza ferita, che visione! Inoltre, se l’avessero colpito, chi l’avrebbe curato? Forse un dottore cieco, ma non c’erano poi molti”) e per l’iperbole in Una sera a letto (“I letti singoli sono un lusso che il mondo non può più permettersi”) sono soltanto alcune delle varianti possibili di uno sguardo sempre obliquo, spiazzante, nel senso che non lascia certezze o punti di riferimento plausibili, e con convinzione perché Coover si diceva “ contento di essere un autore così controverso. È una prova del fatto che sono vivo”. A volte i racconti sono brevissimi,(come succede con La fede dell’angelo caduto, due paginette visionarie), ma è quanto basta a per delineare i contorni di un intero mondo, un concetto generale a cui Coover è molto legato e che è reiterato racconto per racconto. Ognuno ha il suo: le incursioni nei regni delle fiabe in Morte della regina o con La casa di marzapane (Hans e Gretel rivisti in chiave psichedelica), così come l’isola in L’attizzatoio magico o il paesaggio fantastico dei Cartoni animati vengono compensati dal villaggio natale dove si svolge L’infanzia dell’artista, una breve ricognizione nella realtà che dice molto del rapporto tra arte e vita. Ma è il cinema, con ogni probabilità, l’attrazione fatale che distingue i racconti di Coover: Dissolvenze è tutto nel titolo ed è frutto della sua lucida visione dell’amore (“Il cuore è un labirinto buio e misteriosissimo, dove crudeltà, sospetto, depravazione, lussuria stanno in agguato come oscuri demoni e l’amore non è altro che uno dei loro travestimenti più spietati e morbosi. Vagare per queste cloache del cuore è come strisciare all’inferno. A ogni angolo, l’ennesima sorpresa terrificante, l’ennesima atrocità spaventosa”), Nell’inquadratura dedica due pagine per un singolo fotogramma di un ipotetico film, Il trucco del cappello è una sceneggiatura più che un racconto e L’invasione dei marziani ricorda da vicino Mars Attacks! di Tim Burton che con Robert Coover condivide quella vocazione surreale e ironica. Più di tutto sono le atmosfere che riesce a creare nello spazio, comunque limitato, dei racconti: il senso di claustrofobia in Una sera a letto è epidermico così come quello di impotenza in Il rabberciatore, forse una metafora per l’intero genere umano che si perde “a inventare freneticamente la serenità” e ad aggiustare un rapporto incrinato con i suoi marchingegni, quando basterebbe “un mondo saldo senza avventatezze e passi falsi e la minaccia di aggeggi malfatti”, e qui Coover è persino profetico. Per non dire di uno dei migliori ritratti di un assassino, se il miglior assoluto, in Cappello a cilindro, che merita di essere letto per esteso: “Tu cerchi, come dicevo, attraverso l’omicidio, di superare l’ambiguità che sta al cuore della tua ricerca, ma ciò che stai uccidendo è solo qualcosa che hai dentro. È improbabile, in verità, che una volta ucciso ne rimanga alcunché. Non puoi celebrare, amico mio, ciò che non esiste. Non c’è nessun Adamo, a dispetto dei tuoi sogni a occhi aperti, e non c’è mai stato; quei due fratelli sleali se lo sono inventato per giustificare il loro scontento. Il tuo è un grave equivoco, e le sue conseguenze vanno al di là dei tuoi gesti avventati di oggi”. Ma la scoperta di questa vasta e appropriata antologia deve partire necessariamente con La babysitter: un ritmo vorticoso, che non lascia scampo, con una rotazione frenetica delle prospettive e dei punti di vista, e tutto dentro una maleodorante ambiente famigliare. Indefinibile, sfuggente, per niente facile, più che letto, Robert Coover va interpretato: è come trovarsi di fronte a un’inedita tavola periodica della narrativa, tutta da decifrare, e dalla possibilità praticamente infinite.
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