Warlock è una città di frontiera dove il mantenimento dell’ordine è una scommessa continua, se non proprio un azzardo. In “un paese in cui bastano venti dollari per diventare leggenda comprando una pistola in un’armeria qualsiasi” per l’amministrazione della giustizia e la difficile corrispondenza rispetto alle norme e alla rettitudine non erano sufficienti gli sceriffi, locali ed eletti. Il governo americano inviava i marshal, agenti federali con un ampio mandato, così come lo esprime Clay Blaisedell, protagonista del corposo romanzo di Oakley Hall. Ricopre il suo ruolo con sicurezza, è un tiratore efficace (fin troppo), una dote non relativa laggiù dove la vita quotidiana si svolge nelle strade e le regole sono dettate dalle Colt. Le sue sono intarsiate d’oro e rispecchiano il concetto essenziale che “se in un posto c’è un solo uomo a rappresentare la legge, quell’uomo va rispettato altrimenti non esiste più legge”. Il suo servizio è sottoposto al giudizio e al controllo di un comitato civico, di conseguenza “in città infuriano le discussioni, si fanno ipotesi, si respira un senso di atterrita attesa, anche se sono in molti a bramare una resa la cui forma ideale può essere soltanto quella di un duello in strada”. Il marshal è al centro di tutte le tensioni e di scontri ce ne saranno parecchi perché “Warlock era un ribollire di congetture” e si susseguono assalti alle diligenze e raggruppamenti di posse, giudici ubriachi e polvere nell’aria, folle inferocite e risse nei saloon finché il clima diventa irrespirabile perché “non c’è stata nessuna catarsi, c’è stato soltanto disgusto e, d’un tratto, la paura di ognuno di guardare in faccia la persona che aveva accanto”. La posizione di Warlock è fragile: è uno dei vertici di un triangolo che comprende il tribunale della contea di Bright’s City da cui dipende (compresa la guarnigione dell’esercito al comando del generale Peach) e San Pablo, che è la residenza di una congrega di fuorilegge. Le distanze non mitigano neanche un po’ le molteplici ragioni di conflitto e quando i minatori scioperano per le sacrosanti rivendicazioni salariali e per migliorare le condizioni di lavoro, i proprietari prima si rivolgono a un manipolo di furfanti e, infine, alla cavalleria. Warlock si ribella con generosità, con un contributo particolarmente coraggioso delle donne, ma l’intervento dell’esercito, come è successo spesso e volentieri nella storia americana, pone fine alle intemperanze e, per estensione, all’incarico di Clay Blaisedell. Il suo commiato resta un monito lapidario: “Un uomo deve essere fiero, ma deve avere una ragione per esserlo” e, come diretta e insindacabile conseguenza, il suo valore “consiste anche nel capire quando è il momento di levare le tende”. A Warlock le parole hanno un peso specifico e Oakley Hall, sapendo benissimo che “l’uomo è un animale che si distingue dalle altre bestie proprio per la sua capacità di creare cose che non esistono”, lascia che ognuno si esprima a modo suo. Con somma precisione, e nella sua nebbia alcolica il giudice sentenzia: “Un uomo risponde di quel che è”. La facoltà di esprimersi è concessa persino ad Abe McQuown, il capostipite dei banditi, che dice: “Credevo che prima o poi dovessimo accettare che le cose cambiano, ma ho capito che nulla è cambiato. È sempre lo stesso, cane mangia cane e non c’è giustizia se non quella che ti fai da te”. Oakley Hall inserisce anche un punto di vista alternativo, attraverso l’epistolario di Henry Holmes Goodpasture, che è lucido nel decifrare le turbolenze di Warlock: “Devo ovviamente accettare il fatto che l’opinione pubblica non è così unanime come mi piacerebbe credere. Ci sono delle controversie, ma come troppo spesso capita, siamo più inclini a concentrarci sugli uomini in quanto simboli che non sulle controversie in sé”. E per il vicesceriffo Gannon è tutto molto semplice: “Ci sono un momento e un luogo in cui bisogna andare in scena, solo questo”. Come se stesse dirigendo il grande coro di una tragedia, Oakley Hall trasforma ogni luogo comune del West in un’imponente e accurata realtà linguistica, ricordandoci che “in tutta Warlock era la stessa storia, la gente non faceva che parlare, cambiando versione, aggiustando le cose o alternandola a seconda delle convenienze o, meglio ancora, trasformandole in qualcosa da poter accettare, con rabbia o sconcerto o tristezza”. Insuperabile, come una scala reale al tavolo del poker.
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