Mondo senza fine è la cronaca di Langston Hughes di quella “prova generale per la seconda guerra mondiale” che fu la guerra civile spagnola. L’America riversò sul fronte iberico l’élite dei fotografi e dei reporter intuendo forse che la dimensione del conflitto era già internazionale senza però comprenderne fino in fondo la natura, l’essenza e gli inevitabili sviluppi. La sua percezione della guerra civile è immediata e netta: “Non ci volle più di un rapido sguardo da parte mia per verificare che era stata devastante, una sorta di anticipo di ciò che successe in seguito ad altre città più grandi e più famose d’Europa durante la seconda guerra mondiale, della quale alcuni fra i giornalisti presenti a Madrid predissero che la Spagna non fosse altro che un preludio”. Le sue osservazioni, i suoi appunti sono ricchi di ammirazione per il coraggio degli spagnoli, per la vita che cercano di tenere insieme nelle città assediate e martoriate dai bombardamenti ed è scevra da quella caccia all’adrenalina fine a se stessa di molti reporter e a cui non era estraneo lo stesso Hemingway. Nella Madrid assediata dalle truppe fasciste di Franco, Langston Hughes prova per la prima volta le lumache al vapore, a colazione, innaffiandole con un boccale di birra, tutto quello che si può trovare in una città di un milione di abitante servita da una strada sola. Usa i dischi di Duke Ellington, Benny Goodman e Jimmy Lunceford per non sentire il suono delle bombe che esplodono e riesce a spiegare la svolta storica prossiva ventura che la guerra civile spagnola stava anticipando solo raccontando un piccolo dialogo tra un gentiluomo che raccogliendo una scheggia di granata stava dicendo a moglie e a figlia: “Questa piccola cosa, questo oggetto inanimato, non può fare nient’altro che ucciderci. E’ la filosofia che sta dietro a questo piccolo frammento, cara, che è pericolosa”. La differenza, rispetto a molti suoi colleghi, Hemingway per primo, è che la sua attenzione all’evoluzione della guerra civile è legata anche alle dinamiche relative ai popoli africani e afroamericani, “a tutti i popoli del mondo”, alle aperture del governo repubblicano e alle implicazioni coloniali (anche per via dell’intervento italiano, che segue quello in Etiopia). In Spagna, Langston Hughes trova gli africani radunati a combattere tra le truppe fasciste di Franco e gli afroamericani nelle brigate internazionali, coinvolti in una guerra le cui dimensioni vanno ben oltre tutte le loro possibili motivazioni. Nel Mondo senza fine, con una generosità sterminata e un entusiasmo impagabile, Langston Hughes riesce a cogliere una nota squillante, tra i fischi dei proiettili e la cacofonia delle ideologie: “Prima di allora coloro che più rappresentavano i neri in Europa erano musicisti di gruppi jazz, concertisti, ballerini, o altri artisti. Ma questi neri giunti in Spagna erano combattenti, combattenti volontari. La storia aveva voltato”. Con un testimone speciale: Langston Hughes, più un bluesman che uno scrittore.
mercoledì 30 novembre 2011
Langston Hughes
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento