In questo bel romanzo, stracolmo di personaggi femminili, Amy Tan comincia con un trucco piuttosto elementare (è un fantasma che racconta tutta la storia) ma che è efficace nel raggiungere un suo scopo preciso perché ad un certo punto dice: “come lettori siamo disposti a sospendere ogni scetticismo quando ci immergiamo in un romanzo. Vogliamo credere che il mondo in cui siamo entrati attraverso i portali dell'immaginazione altrui esista davvero, vogliamo credere che il protagonista sia, o sia stato, fra di noi”. Infatti la voce principale, è della compianta Bibi Chen, scomparsa in circostanze piuttosto misteriose e complicate nel suo negozio d’arte orientale di San Francisco. E’ lei l’ectoplasma che osserva dal suo nuovo status etereo le peripezie di un composito gruppo di turisti americano che si perde in un angolo remoto delle foreste della Birmania. E’ piuttosto relativo che il viaggio sia stato preparato nei minimi dettagli proprio da lei e che l’avventurosa comitiva si sia ritrovata, tutta insieme, al suo funerale: Perché i pesci non affoghino racconta con ironia e anche con una sottile patina di paura la scoperta di mondi ancestrali, di primitive realtà tribali, ma anche delle assurdità di un regime dispotico e crudele attraverso il picaresco viaggio degli amici di Bibi Chen. I quali non sono esenti (anzi) dalle nevrosi della civiltà occidentale: c'è chi soffre di ipocondria, chi non si capisce, chi è troppo giovane e chi si sente già vecchio, e praticamente tutti sono alla ricerca di un equilibrio o almeno di un punto di appoggio dove possa essere presa in considerazione la parola amore. Situazione che viene messa in risalto ancora di più dalle condizioni estreme in cui si vengono a trovare. La voce di Bibi Chen vorrebbe essere comprensiva e indulgente verso di loro ma con il tempo ha imparato che l'arte è “deliziosamente sovversiva, puoi vedere ciò che trapela a dispetto dell'autolimitazione, o forse grazie a essa. L'arte disprezza la placidità e le superfici lisce”. Allora si concede tutto un repertorio di commenti, racconti, storie e acidità che, insieme al gran movimento di personaggi e interpreti rendono Perché i pesci non affoghino quasi una sceneggiatura per un film sull’esotismo della nostra decadenza. E, pur affrontando snodi e passaggi piuttosto ingombranti, a partire dall’isolamento di un’intera nazione, con molto garbo, una scrittura florida e al tempo scorrevolissima, Amy Tan incanta il lettore lungo tutto l’arco del romanzo. Fornendo anche, in modo piuttosto esplicito, le motivazioni che stanno davanti e dietro le pagine, cioè il nocciolo duro che tiene insieme scrittura e lettura, due entità diverse e agli antipodi ma che non possono mai viaggiare separate. Una contraddizione che Amy Tan risolve in modo brillante lasciando dire a uno dei personaggi di Perché i pesci non affoghino: “Leggo per scappare in un mondo più interessante, non per essere rinchiusa in una prigione angusta e immaginarmi al posto di un altro”. Un'odissea tutta da scoprire.
Nessun commento:
Posta un commento