Il Guatemala non è soltanto lo sfondo su cui si
proietta l’ombra sfuggente del giaguaro rosso. E’ un paese condannato dalla
storia, attraversato da scosse telluriche così come da ondate di violenza
inaudita, un luogo dove la povertà alimenta un’infinita precarietà e dove la
vita, che ha millenni di tradizioni alle spalle, sembra frutto di un destino
del tutto occasionale. Per descrivere il Guatemala che c’è in Il giaguaro
rosso,
così come quello della realtà valgono le parole, riferite a chissà quale angolo
del mondo, ma adattissime allo scopo, che scriveva Graham Greene: “Qui nessuno
avrebbe mai potuto parlare di un paradiso in terra: il cielo rimaneva
rigidamente al proprio posto al di là della morte, e al di qua prosperavano le
ingiustizie, le crudeltà, le grettezze che altrove la gente riusciva abilmente
a mascherare”. La citazione non è casuale perché il protagonista, Russell Cruz
Price, sembra Il nostro agente all’Avana trapiantato in Guatemala. Nel suo
passato, dove si scontato i riflessi autobiografici di Kent Harrington, c’è
l’essenza che lo porterà a cercare Il giaguaro rosso. Russell Cruz Price
discende da una stirpe di proprietari delle piantagioni di caffè (la prima
risorsa nazionale), ha studiato nelle accademie militari americane ed è un
giornalista del Financial Times. Crede convinto negli effetti moltiplicatori e
autoindulgenti del capitalismo ed è sicuro che non c’è alternativa al libero
mercato, anche in Guatemala. E’ per questo che accetta di condividere la caccia
al giaguaro rosso che gli propone Gustav Mahler, un archeologo tedesco di
illustre discendenza, convinto di aver trovato la pista giusta per arrivare a
una delle leggende delle leggende precolombiane. Il giaguaro rosso è un feticcio di giada
che pesa svariati quintali, dal valore inestimabile e l’idea di Russell Cruz
Price è venderlo per conquistare la femme fatale di cui si è innamorato,
Beatrice. Lei è sposata con Carlos Selva, generale dell’esercito e sanguinario
responsabile dei servizi d’informazione, ma non è l’unico ostacolo (femminile)
a cui deve far fronte Russell Cruz Price perché “quando tutto sembra
tranquillo, allora è il momento in cui ti può succedere qualcosa”. C’è il
ricordo della madre, Isabella, c’è Olga, che l’ha visto bambino, e c’è
Katherine, la volontaria idealista che si innamora dell’uomo sbagliato (lui).
Kent Harrington con i colpi di scena non ci va leggero, anche a discapito di
qualche elemento di coerenza e di alcuni dettagli (archeologici, strategici,
militari): nella prima parte Il giaguaro rosso è denso e affascinante,
mentre nella seconda, dove gli eventi precipitano uno dopo l’altro, diventa
rutilante e avvincente. Detto questo, Kent Harrington sparge la suspense a
piene mani, dalle improbabili love story alle folli missioni geopolitiche (con
l’onnipresente invadenza degli interessi americani), soltanto per ricostruire
il clima irrespirabile del Guatemala, un posto nel mondo in cui “solo i
bastardi possono resistere, ragazzo, perché a loro non gliene frega niente del
paradiso”.
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