giovedì 29 novembre 2012

Elizabeth Bishop

Tenere pulita la spiaggia è il lavoro di Edwin Boomer. In realtà, e ci tiene a precisarlo, la spiaggia sarebbe in grado di mantenersi in ordine da sola, se non ci fosse l’intervento degli esseri umani. Allora deve passare la sua giornata a raccogliere la carta che vola sulla sabbia o macera nel bagnasciuga e fin qui l’impiego non ha nulla di straordinario, se non fosse che Edwin Boomer ha poi la premura di selezionare i ritrovamenti. In parte li fa sparire in un bidone, bruciandoli e in parte se li porta nella sua modestissima cabina dove li legge e li rilegge con passione. Di lui sappiamo ben poco: l’unica attività conosciuta, oltre alla pulizia marina e alla lettura è bere, che rimane comunque un dato molto vago. Quello che è certo in Edwin Boomer è la sua predilizione per la lettura come strumento di salvataggio, a cui fornisce tutta una sua personale raffinatezza visto che “data la sua estrema necessità di selezione, aveva finito per diventare un giudice eccellente”. La grazia con cui Elizabeth Bishop costituisce l’identità del lettore, anzi di un super lettore, in Il mare e la sua sponda è sorprendente: un racconto brevissimo, neanche una dozzina di pagine, che letto e riletto ogni volta svela una sfumatura in più. Funziona nello stesso modo anche l’episodio successivo, In prigione, non solo perché la costruzione è meticolosa, precisa, minuziosa. Le due storie hanno in comune l’elemento claustrofobico (la cabina nel primo, la cella nel secondo) che è “un rifugio, ma non per viverci, per pensare”. Poetessa raffinata (è consigliabile conoscerla anche attraverso Miracolo a colazione), personalità tormentata, Elizabeth Bishop pare trasmettere ai due personaggi di Il mare e la sua sponda e In prigione l’essenza di una vita trascorsa a scrivere, a leggere e a pensare, forse sentendosi un po’ come Edwin Boomer che cerca di salvare pagine dall’oblìo e un po’ come il prigioniero che cerca di comprendere e di rivelare le differenze filosofiche tra scelta e necessità. Forse sono le stesse che intercorrono tra lettura e scrittura: più ci si addentra in Il mare e la sua sponda e più, nonostante la brevità dei due racconti, si percepisce la distanza di Elizabeth Bishop dalla superficialità del mondo e della realtà. Potrebbe appartenere a lei quello che dice il protagonista di In prigione: “Credo di apprezzare l’umorismo come tutti, ma mi ha sempre molto amareggiato che al giorno d’oggi tante persone intelligenti pensino che qualsiasi cosa accada loro debba per forza essere divertente. Intanto questo atteggiamento mina la conversazione e la corrispondenza, rendendole monotone, e poi penetra in profondità, corrompe le nostre capacità di osservazione e di comprensione”. Sono parole scritte nel 1938, più vicini alla tragedia che alla farsa, chissà cosa avrebbe detto oggi. A quel punto è facile immaginarsi Edwin Boomer che in una notte di vento, insegue brandelli di carta che si librano nell’aria del mare. Vorremmo avere la sua esperienza nella cernita e un fuoco sempre acceso accanto.

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