Forse il titolo
può indurre in inganno perché La scrittura creativa di William Burroughs non è quella strana
materia che provano a insegnare in tanti corsi e in tante scuole dalle
fondamenta tutto sommato discutibili. Questa succinta raccolta di saggi, per
quanto ristretta e striminzita, colleziona alcuni dei passaggi principali e
insindacabili delle visioni di William Burroughs che, proprio come prima e
sacrosanta discriminante, dichiara che “prima di tutto, ho riconosciuto lo
scrivere come un’operazione magica” e di conseguenza “nel mondo della magia
niente accade a meno che qualcuno voglia che accada, usi la volontà per farlo accadere, e ci sono certe
formule magiche per incanalare e dirigere la volontà”. Burroughs non procede in
modo lineare perché “la coscienza è cut-up; la vita è un cut-up” e le sue analisi sul linguaggio, sulle parole di cui
siamo composti, si sovrappongono all’idea, al modello, alla silhouette della
figura dello scrittore, esseri che “cercano di creare un universo in cui hanno
vissuto e dove dovrebbero vivere”. La distinzione, che è molto chiara e nitida,
ritorna con una frequenza sinusoidale nelle tesi e nelle ipotesi che William
Burroughs dipana nei suoi saggi: se “l’immagine e la parola sono gli strumenti
del controllo”, ed è difficile sostenere una teoria differente, se “la parola
scritta è un’immagine” e se “piantano spilli nell’immagine di qualcuno e poi
mostrano quell’immagine a milioni di persone”, La scrittura creativa è una forma di resistenza, una mappa per
aprirsi vie di fuga, un manuale di sopravvivenza, e nemmeno in senso tanto
metaforico. Lo era già quando questi articoli uscirono per la prima volta, tra
il 1975 e il 1977, vista la conclusione, abbastanza esplicita, da cui Burroughs
partiva e a cui di conseguenza tornava con convinzione: “Più la gente sa,
meglio è. E’ venuto il tempo di sbattere tutti questi segreti sul tavolo. Armi
segrete, dottrine segrete, tutto. Sono meno pericolose nelle mani del pubblico
che nelle mani dei servizi segreti e dei militari. La conoscenza appartiene a
chi la sa usare”. Chissà cosa avrebbe detto e/o scritto adesso: Burroughs
sosteneva che “ogni estensione tecnologica esteriorizzata produce un effetto di
ambientazione collettiva” e non solo aveva intuito bene l’infinito guado in cui
sarebbero finite le parole e le immagini, aveva capito anche che “per uscire da
questa impasse sarebbe auspicabile che sperimentassimo dei metodi di
comunicazione alternativa”. Ecco a cosa serve davvero La scrittura creativa, intesa come questa piccola antologia di riflessioni di un genio e
come espressione felice per identificare un’arte di cui William Burroughs ha
saputo cogliere e rendere lo spirito rivoluzionario avendo compreso che “ciascuno
scrittore si crea il suo universo. Quando comprate un libro voi comprate un
biglietto per viaggiare nel tempo dello scrittore”. Neanche a dirlo, il ticket
vale per la sola andata, che magari è basta e avanza, ma con un po’ di cut-up le destinazioni diventano infinite.
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