sabato 8 marzo 2014

Charles Bukowski

Le interviste hanno sempre rivelato il Bukowski più immediato, generoso e urticante, senza alcuna distinzione tra un momento e l’altro, tra una sfumatura e l’altra. Il confronto non è mai stato semplice o indolore perché la sua attitudine era: “adesso me ne sto qui senza fare niente e bevo vino e parlo di me perché voi mi fate le domande, non perché io abbia le risposte, ok?”, e per dirlo con le sue parole, era adeguata  all’essere “genuinamente mostruoso” che interpretava. Spogliato di molte delle sue armature, il buon vecchio Hank invece mostra, più di altre volte, molti lati inediti e/o non così conformi ai contorni dell’aura leggendaria che gli è propria. Nell’ampia selezione di Il sole bacia i belli, spunta un Buk persino moralista quando dice in una delle ultime interviste: “La felicità e il significato profondo della vita non sono delle costanti, ma credo che qualche volta possiamo avere entrambi se in qualche caso riusciamo a fare quello che vogliamo realmente, quello che ci piace veramente, invece di seguire regole preconfezionate. E’ tutto molto semplice e vale la pena di lottare per questo. Quelli che si inchinano dinnanzi a strade false e a falsi dei raccolgono solo la confusione e l’orrore di vite sprecate”. E capita di scovare un Bukowski acuto dal punto non meno lucido, anche quando si infervora davanti ai soliti luoghi comuni, quelli della politica in primis: “Perché questi cliché, queste banalità? Okay, be’, direi di no. Non abbandoniamo la nave. Dico, per quanto scontato possa sembrare, attraverso foza spirito fuoco audacia rischio di pochi uomini in pochi modi possiamo salvare la carcassa dell’umanità dall’annegare. Le luci non si spengono finché non si spengono. Combattiamo come uomini, non come topi. Punto e basta. Non c’è altro da aggiungere”. Se si spulcia con attenzione, intervista dopo intervista, si può assemblare e rendere comprensibile il metodo nella follia di Bukowski, il rapporto con la realtà  fotografata attraverso la scrittura: “Generalmente quello che scrivo sono più che altro fatti reali ma sono abbelliti anche da un po’ di narrativa romanzesca, un colpo al cerchio e uno alla botte, ma tenendo sempre le due cose separate. Credo che in un certo senso sia tradire, ma potremmo sempre chiamarla fiction. Fiction è tradire? Mischio i fatti reali con la fiction. Nove decimi di fatti e un decimo di fiction, per rendere la realtà credibile. Così, mi prendo il meglio di tutto, ecco come funziona”. L’arco di interviste, incontri, insulti raccolti da Il sole bacia i belli è abbastanza ampio (dal 1963 al 1993) da risultare esaustivo e nello stesso tempo ben avvinghiato al personaggio, molto semplice, molto coerente, che Bukowski alimentava seguendo alcune semplici coordinate. La prima: “La mia idea di vita è la pagina successiva, il paragrafo successivo, la frase successiva”. Poi c’è un appunto autobiografico (come ce ne sono molti, tutti meritevoli) che riassume la sua carta d’identità in quattro righe: “Ho qualche problema di stomaco, il mio fegato è troppo carico e le mie emorroidi minacciano di conquistare il mondo, ma al diavolo. Ce la farò”. Non avevamo dubbi. 

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