Charles Mingus, fra tutti i
jazzisti, fu il più feroce, il più duro, il più irascibile e anche il più
coerente perché, come scriveva Geoff Dyer nel suo ritratto in Natura morta
con custodia di sax, “non sapeva perché
fosse fatto a quel modo, ma sapeva che doveva essere così e non altrimenti”.
Com’era lo racconta in prima persona nella sua autobiografia, Peggio
di un bastardo, dove si concede con la
consueta, straripante generosità, e senza mediazioni, a proposito della musica,
che poi coincide in gran parte con la sua vita: “La mia musica dimostra la
volontà della mia anima di vivere oltre la tomba del mio sperma, è la mia
metatesi, la nuova sede della mia anima eterna. Amati e amanti, unione, amore.
Concepimento, uno più uno fa due fa quattro, fa otto, fa sedici, fa trentadue,
fa te”. Con la stessa verve Mingus racconta la sua infanzia e si rivela un
narratore dai toni forti e sincopati: “Quando ero piccolo una volta caddi e
persi i sensi. C’era un bambino lì in terra tutto sporco di sangue. Quel
bambino ero io e allo stesso tempo non ero io. ero qualcun altro lì in quella
stanza, eppure i miei non potevano vedermi. Ero una specie di vecchio saggio,
vecchio come il tempo. Dipendeva solo da me lasciare lì in terra quel bambino e
andarmene verso l’eternità o soffiargli di nuovo dentro la vita. Così adesso
riesco a vedere te e tutto il resto con la stessa chiarezza di quel giorno
quando vedevo tutti gli altri e me stesso e sarei potuto restare lì o salire in
macchina con loro senza essere visto”. Peggio di un bastardo è una sorta di vademecum in presa diretta di
un’epopea intensa e drammatica che ebbe la musica (dal blues al jazz, tutto
compreso) al centro di ogni movimento. Il suo valore sta proprio nella
ricostruzione vivida delle immagini nella vita nelle strade di New York
(“Voglio solo farti sapere dove ti vai a cacciare. Perché se ti beccano finisci
peggio di Al Capone, perché anche tu sei un nero che ha delle donne bianche. Se
abiti nell’East Side di Manhattan, quelli penseranno che hai la grana anche se
non ce l’hai. Non farti venire in giro con i magnaccia, neri o bianchi. Così ti
fai etichettare”). La cruda versione di Peggio di un bastardo dei rapporti tra uomini e donne, tra bianchi e neri,
tra musicisti e il resto del mondo nonché la grezza espanzione di tutte le
contraddizioni, le controversie e le follie che l’hanno visto protagonista
diventano sorprendenti quando Mingus si occupa di questioni politiche, che
affronta dimenticandosi di ogni singola sillaba contenuta dalla parola
diplomazia: “E’ ora di sapere cosa fanno i nostri leader che ci portano a
morire per i loro vizi, le loro evasioni. Puttane! Strappategli via i vestiti
ai nostri leader! Oggi! In tutto il mondo! E se cercano di scappare tagliate lì
dove dovrebbero avere le palle. Salvatelo voi questo mondo malato, o mie
inestimabili puttane”. Per la cronaca alla sua versione dei fatti va aggiunta
quella scritta dalla moglie Sue Mingus, ovvero Tonight At Noon, anche se è sempre meglio la fonte diretta.
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