Quello che vede John Little (o Petit Jeanne) ancora bambino lo segnerà per tutta la vita: il padre ammazzato senza pietà e per motivi ancora meno che futili dallo sgherro di un politicante prepotente e corrotto. E’ solo l’inizio, drammatico e feroce, di una lunga saga ambientata nelle terre di frontiera (americane) alla fine del diciannovesimo secolo, ma anche nei bassifondi di New York e lungo i meandri della storia di una nazione. La cui sorte, per parafrasare un passaggio dedicato alle figure femminili del romanzo, è stata infine molto, molto diversa dalle sue ambizioni. Qualcosa dipende anche dalla difficoltà nel distinguere la vendetta dalla giustizia, nel considerare una libertà individuale (intoccabile) quella di possedere e usare le armi da fuoco, fin dai primissimi giorni della frontiera. In quelle condizioni John Little si accorge che la sua scelta del tutto personale, come è evidente, e dettata dall’istinto, è invece piuttosto comune perché nonostante il “destino manifesto” nell’America di frontiera “bisognava essere folli per credere che il timore del castigo potesse dettare legge e mettere ordine nel cuore di un uomo, quando le possibilità di farsi arrestare per i crimini più atroci dipendevano dalla velocità del proprio cavallo di partire al galoppo verso una giurisdizione più clemente”. Quando non si può più fuggire, la scelta è obbligata e l’altra ferita, lacerante e a suo modo definitiva, che impone a John Little d’impugnare le sue pistole, è vedere, dopo il padre ucciso, la madre costretta a uccidere e a giustificarsi senza particolari tentennamenti: “Figlio mio, ho perso tutto quello che c’era di buono e di puro nella mia vita, e a quel punto non potevo che sposare il male. Era l’unica forza che poteva farmi smarrire del tutto e cancellare per sempre la felicità perduta. Il male era più forte del mio dolore”. Indurito da un’educazione così feroce, John Little diventa un cavaliere solitario, ma dato che “la vendetta, quella vera, non è mai anonima”, le sue missioni e la sua abilità con grilletto e mirino diventano sempre più richieste in terre di nessuno dove tra autodifesa e giustizia non c’è molta differenza. Il finale è tutto meno che scritto (“Non sono certo di essere sopravvissuto a niente” dice John Little) anche se questo “romanzo western” come si premura di precisare il sottotitolo, Elliott Murphy incarna tutto lo spirito di quell’epopea e lo fa riassumere al suo protagonista in una dichiarazione che è qualcosa di più del proposito di una vita: “Vendicare l'onore di un uomo non m’interessa e non ammazzo neanche gli indiani. A modo mio faccio rispettare la legge, proprio come voi. Non sono altro che un'appendice della legge in queste regioni senza legge”. Il cuore e l'anima del romanzo sono, con ogni probabilità, proprio in queste righe, anche se poi Elliott Murphy sfoggia una padronanza di miti e leggende americane che è pari soltanto al suo talento musicale. A partire da Walt Whitman che è il vero compagno di viaggio e di vendetta del piccolo e indomito eroe.
martedì 4 gennaio 2011
Elliott Murphy
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